Siamo morti?
Pubblicato il 3 mar 2013
di Ramon Mantovani -
Lo stato d’animo non è dei migliori. Eppure bisogna cercare di essere lucidi. E di ragionare.
Non partecipo all’orgia dei social network, sui quali si può leggere di
tutto, tranne analisi serie e l’individuazione dei veri problemi del
paese e della sinistra.
So bene di andare completamente e sempre più controcorrente.
Ma se alle analisi si sostituiscono spiegazioni superficiali e alle
proposte gli slogan invece che capirci qualcosa si finisce per non
capire più nulla. E invece di cercare la strada giusta si finisce in un
labirinto. In questo modo non si sviluppa nessuna discussione utile. Con
il battibecco, con gli scontri verbali, con gli insulti e le iperboli
di tutti i tipi si distrugge tutto e si partecipa attivamente a
fomentare i peggiori istinti che covano nella società.
Detto questo, parliamo delle elezioni. Esaminando i dati della Camera
senza voto estero e i 617 seggi attribuiti con il “porcellum”.
I votanti sono calati di 2 milioni 600 mila unità.
Il centrosinistra ha perso 3 milioni e mezzo di voti.
Il centrodestra 7 milioni e duecentomila.
Sono quasi undici milioni di voti in meno ai due schieramenti maggiori.
Il Movimento 5 Stelle ha avuto 8 milioni e 700 mila voti.
Lo schieramento di centro (nel 2008 solo UDC con poco più di 2 milioni di voti) ha avuto 3 milioni e 600 mila voti.
Ho appositamente omesso le percentuali perché, oltre ad essere
conosciute, secondo me oscurano l’enormità degli spostamenti di voto che
ci sono stati e falsano la percezione del significato politico del
voto.
Ora proviamo a guardare i risultati utilizzando un altro punto di vista.
Le forze che hanno sostenuto il governo Monti hanno avuto circa 22
milioni e mezzo di voti. Circa il 63 % sui votanti. Nel parlamento
avevano più del 90 % dei seggi.
Ora vediamo i seggi.
Il centrosinistra con il 29,54 % dei voti prende 340 seggi pari al 54 %
dei seggi totali. Il premio di maggioranza è del 24,5 %. Quasi un
raddoppio dei seggi.
Il centrodestra con il 29,18 % dei voti prende 124 seggi pari al 20 %
dei seggi totali. Lo 0,35 % in meno determina una differenza in seggi di
216 unità.
Le forze che hanno sostenuto il governo Monti hanno avuto 454 seggi
(senza SEL e Lega Nord) pari al 73 % dei seggi totali, contro il 63 %
dei voti.
SEL con il 3,2 % conquista 37 seggi. La Lega Nord con il 4,08 %
conquista 18 seggi. Prende più voti di SEL ma metà deputati rispetto a
SEL.
L’UDC con l’1,78 % dei voti prende 8 seggi. Il Centro Democratico con il
0,49 % dei voti prende 6 seggi. Fratelli d’Italia con l’1,95 % dei voti
prende 9 seggi. Rivoluzione Civile con il 2,25 % dei voti prende zero
seggi.
Un deputato del PD vale 29603 voti. Uno di SEL 29444 voti. Uno del PDL 75594 voti. Uno del Movimento 5 Stelle 80455 voti.
Prima di passare alle considerazioni politiche non si può non valutare il tasso di democraticità della legge elettorale.
Si tratta di una legge altamente deformante la volontà popolare, che quindi partorisce un parlamento non rappresentativo.
Credo basti leggere i dati che ho più sopra citato e che non sia
necessario argomentare oltre per dimostrare la giustezza del mio
giudizio.
Intanto, però, questa legge è in vigore da molto tempo ed è la terza volta che viene applicata.
Il sistema politico è stato trasformato da questa legge, i partiti si
sono modellati su questa legge, gli elettori quando pensano a votare e a
scegliere lo fanno sulla base dei meccanismi imposti dalla legge, i
mass media ne amplificano tutti gli effetti più deleteri. Quella
precedente era anche peggio. Non posso ora, per brevità, argomentare e
dimostrare il perché. Come è di gran lunga peggiore quella degli enti
locali, che è presidenzialista, ultramaggioritaria e inquinata dalle
preferenze.
Vorrei ricordare a tanti che in Italia il maggioritario è stato proposto
da Segni, appoggiato dal PDS e dalla Lega (allora forza emergente),
come soluzione del problema della corruzione e come “riavvicinamento”
del sistema politico ai cittadini. Il risultato e sotto gli occhi di
tutti. Più corruzione, partiti ultrapersonali (PD e SEL compresi),
distanza abissale fra sistema politico e cittadinanza, talk show dieci
volte più importanti del parlamento, e potrei continuare.
Ovviamente non tutto quello che le ultime elezioni ci hanno messo sotto
gli occhi è dovuto al sistema elettorale. Nei vent’anni di maggioritario
tutti i diritti conquistati in decenni di lotte sono stati messi sotto
attacco. Il lavoro è stato svalorizzato, il mercato finanziario è
diventato il vero sovrano al quale i governi hanno obbedito, una
generazione vive ormai ben peggio dei propri genitori, la guerra è
diventata uno strumento ordinario della politica internazionale del
paese e dell’occidente, l’istruzione e la sanità, oltre che l’acqua e
gli altri servizi pubblici, sono stati potentemente privatizzati. Anche
qui potrei continuare a lungo.
Ma tutte queste modificazioni della realtà sociale sono state possibili
attraverso le relative leggi, che anche quando hanno suscitato proteste,
lotte e resistenze, sono state approvate dal parlamento maggioritario
senza battere ciglio. Quando qualcuno si è opposto, tentando di dare
voce alle lotte, è stato accusato di voler fare il gioco
dell’avversario, ricattato, diviso e ridotto all’impotenza. I contenuti
sono diventati un accessorio strumentale nella vera contesa che era
l’alternanza fra centrodestra e centrosinistra, uniti dal feticcio della
governabilità interna alle compatibilità imposte dal mercato.
L’intreccio fra maggioritario e ristrutturazione sociale sulla base dei
puri interessi capitalistici e finanziari è potentissimo.
Oggi il sistema sociale e quello politico non reggono più, di fronte
alle conseguenze della crisi. Ma la sinistra reale, al contrario di
tutti gli altri paesi europei, si è presentata all’appuntamento logorata
da venti anni di divisioni e ormai ridotta nei fatti, persino
indipendentemente dalla sua stessa volontà, esattamente alle due
varianti previste per essa dalla logica del maggioritario: quella
interna al bipolarismo condannata a non influire minimamente sulla
sostanza del governo, e quella testimoniale espulsa dalle istituzioni.
Senza tenere conto di questo contesto, cui ho accennato finora, non si
può capire la portata della sconfitta, e si finisce con lo scambiare gli
effetti per le cause o, peggio ancora, per coltivare illusioni circa
soluzioni miracolistiche dell’enorme problema con il quale ci si deve
confrontare.
Tenendo conto di questo contesto, invece, si può affrontare meglio anche
la discussione circa le responsabilità soggettive delle forze politiche
ed anche di quelle sociali, a cominciare da quelle dei sindacati e
delle organizzazioni della società civile.
Cosa ci dice il risultato elettorale?
Ci dice tre cose:
1) il bipolarismo è morto. Ci sono 4 poli in parlamento. E nonostante il
meccanismo maggioritario nessun governo è possibile senza un accordo
post elettorale. Sono centrodestra e centrosinistra gli sconfitti e al
loro interno le forze minori, come SEL, risultano irrilevanti. Il centro
è cresciuto ma non a sufficienza per colmare l’esodo dei voti contrari
alle politiche europee e di massacro sociale.
2) un movimento indefinito sul piano ideologico ed ideale, con un
programma vago e in molti punti contraddittorio, identificato con un
leader predicatore, ha raccolto tutti i voti di protesta.
3) la sinistra reale è irrilevante nel senso pieno del termine. Non è
“apparsa” irrilevante. Lo è. Nel senso che per quanto portatrice di
contenuti giusti (in molti casi sovrapponibili e in altri parecchio più
avanzati e progressisti rispetto al Movimento 5 Stelle), per quanto
propositrice di misure serie contro la crisi e i responsabili della
crisi, per quanto espressione e vicina a tutte le esperienze di lotta e
sociali, nulla ha potuto né contro il “voto utile” né contro il voto di
protesta.
Il bipolarismo è morto. Ma invece che prenderne atto sia il PD, sia il
PDL, sia il centro, parlano dell’emergenza dell’ingovernabilità. Non so
attraverso quali acrobazie, ma prevedo che il governo temporaneo che
nascerà, oltre a tenere fede a tutti i diktat della tecnocrazia europea e
della finanza, tenterà di “riformare” legge elettorale e istituzioni
per garantire la “governabilità”, e cioè il governo dell’esistente con
una possibile alternanza.
Il Movimento 5 Stelle conterà esattamente su questo per gonfiarsi e
trasformare la protesta in rappresentazione della volontà di
cambiamento. Ma cambiamento in quale direzione? Se i tre poli, al netto
di finte divisioni e competizioni, sono d’accordo sulla sostanza della
politica economica e sono d’accordo sul principio di “governabilità”
(non a caso di nuovo mantra dei mass media come nei primi anni 90),
hanno una strada obbligata davanti a se. Del resto soprattutto PD e PDL,
essendo partiti modellati sul maggioritario e sull’obiettivo di governo
dell’esistente, possono cedere sui “privilegi” e i costi della
politica, mentre non possono proporre una svolta democratica. Per
esempio una legge elettorale proporzionale. Perfino se il PDL e il
centro lo facessero troverebbero la fiera opposizione del PD. Mentre sui
contenuti avanzati ogni strada gli sarebbe preclusa, sotto la voce
privilegi e costi della politica il Movimento 5 Stelle potrebbe anche
votare diversi provvedimenti, prendendosi il merito di aver obbligato la
“casta” ad ingoiarli. Ma sarebbero in gran parte la realizzazione del
sogno estremista liberale. Per fare un solo esempio, eliminazione del
finanziamento pubblico e delle strutture di partito (e così, come negli
USA, l’elaborazione dei progetti politici e di legge sarebbero
appannaggio delle lobbies dei poteri forti). Mentre sulla legge
elettorale il Movimento 5 Stelle non ha alcuna posizione. Tranne quella
dell’apologia delle preferenze. Non è dato sapere se sia maggioritario o
proporzionalista. Se voglia un sistema presidenzialista o meno. Se
pensi che la funzione del parlamento debba essere di mero controllo del
governo o di effettivo potere legislativo.
Cosa direbbe e soprattutto cosa farebbe se PD e PDL trovassero un
accordo su un sistema elettorale maggioritario a doppio turno e su un
sistema istituzionale presidenzialista? Stando al programma ufficiale
del Movimento 5 Stelle potrebbero votare tranquillamente a favore,
ottenendo che i parlamentari non facciano più di due mandati, che non
possano svolgere nessuna altra attività e che non abbiano gli attuali
residui privilegi.
È una “previsione” puramente astratta. Ma è plausibile stando al
programma ed anche alle numerose esternazioni di Grillo, che mentre ha
urlato contro la casta e i partiti ha sempre evitato accuratamente di
definirsi su una quisquiglia come la legge elettorale e la forma dello
stato.
Comunque non è il momento di esercitarsi a fare previsioni e ad indovinare i contorsionismi della politica spettacolo.
Ripeto che solo in Italia la sinistra che condivide il 95 % dei
contenuti si presenta divisa alle elezioni. Li condivide sulla crisi e
sulle cause e responsabilità della stessa, sulle proposte per uscirne,
sul fiscal compact, sul pareggio di bilancio in costituzione, sul lavoro
e sulla piattaforma della FIOM, sulla precarietà, sul reddito di
cittadinanza, sui beni comuni da sottrarre ai privati, sulla scuola e
sanità pubblica, sui diritti civili, sui diritti degli immigrati e così
via. Non credo di esagerare. È così.
Gli elettori di sinistra oggi sono divisi fra SEL, Rivoluzione Civile, e
Movimento 5 Stelle. In quest’ultimo sono una parte, purtroppo credo non
maggioritaria, perché si può essere contro la casta anche da destra,
contro l’euro e contemporaneamente contro gli immigrati, e così via. Ma
non c’è alcun dubbio che tantissimi elettori di sinistra abbiano votato
il Movimento 5 Stelle, con le più svariate motivazioni, spesso
contraddittorie fra loro.
In altri paesi europei a sinistra ci sono partiti comunisti, coalizioni
comprendenti partiti comunisti e non, partiti di sinistra, movimenti
comprendenti più partiti. Insomma, si possono trovare tutte le formule
organizzative unitarie e i modelli di partito. Nella crisi crescono
considerevolmente fino ad esprimere, proprio dove la crisi è più acuta,
la possibile alternativa di governo. Come in Grecia.
Davvero si può considerare seria una discussione, che già vedo
profilarsi come al solito, che mette al centro le formule organizzative
unitarie? Come se SEL e Rivoluzione Civile fossero divise dalla
concezione organizzativa dell’unità e non, invece, dalla logica
bipolarista? Davvero è una questione di efficacia del leader in TV?
Davvero se cambiassimo tutti i dirigenti e li sostituissimo con giovani
risolveremmo i problemi? Davvero se ogni forza pensasse di distinguersi
maggiormente dalle altre, con conseguente proliferare di ancor più
liste, una di queste potrebbe aspirare a vincere la battaglia egemonica e
ad unificare tutto ingrandendo se stessa?
Cosa ci impedisce di fare come Izquierda Unida? O come il Front de
Gauche? O come la Linke? O come Syriza? Trovando anche in Italia la
formula organizzativa democratica adatta ad unire e non a dividere? Cosa
ce lo impedisce?
Purtroppo la risposta è duplice: ci sono due cose che ci hanno fino ad ora diviso irrimediabilmente.
La prima è il maggioritario e le due tendenze figlie del bipolarismo:
dentro il centrosinistra a non contare nulla e apparendo agli occhi di
buona parte della nostra gente come opportunisti, oppure fuori senza
speranza di incidere su nulla e per giunta con il sospetto della nostra
gente che l’unico obiettivo vero siano i posti.
La seconda è l’internità di tutta la sinistra, comunque collocata
rispetto al centrosinistra, nel sistema politico separato dalla società.
Con la prima risposta si spiegano gli insuccessi di SEL e Rivoluzione
Civile. Con la seconda il voto di gran parte della nostra gente al
Movimento 5 Stelle.
Se tutto ciò è anche solo parzialmente vero, e se vogliamo lavorare
affinché in Italia ci sia una sinistra che torni a contare nella società
e quindi anche elettoralmente, si deve tener conto di entrambe le
risposte insieme. Perché altrimenti la soluzione è totalmente sbagliata
ed inefficace.
Si può, in presenza della crisi del bipolarismo, unire sui contenuti e
sulla democrazia, ed essere alternativi al sistema politico separato,
nel tempo nel quale anche l’alternatività del Movimento 5 Stelle sarà
messa alla prova dei fatti.
Il Partito della Rifondazione Comunista, con i suoi difetti e con le
ferite subite dalle innumerevoli scissioni, non è morto. Ed ha sempre
dato prova di non pensare soprattutto a se stesso ed ai posti nelle
istituzioni. È stato indubbiamente il più generoso in tutte le
iniziative di lotta ed unitarie. Ha un gruppo dirigente che certamente
non è il migliore del mondo, ma che ha saputo e voluto resistere a tutte
le lusinghe e tentazioni a separare il proprio destino da quello dei
militanti e delle classi subalterne, per trovarsi un posto sicuro nel
centrosinistra. Ha militanti, donne ed uomini, il cui valore ed
attaccamento ai principi ed ideali comunisti, si vede proprio oggi, nel
massimo della difficoltà.
Questo nostro partito ha imparato a resistere. Saprà imparare a
ripensare se stesso come una parte indivisibile e incancellabile dentro
una più vasta aggregazione di sinistra anticapitalista.