giovedì 27 marzo 2014

Medici: "Senza Province sopravvive solo chi ha soldi"

di Sandro Medici, candidato nel collegio Centro, per la lista "Un'altra Europa con Tsypras"

Al di là delle turbolenze parlamentari e delle malsane dinamiche nella maggioranza di governo, il testo ammazza-province approvato ieri al Senato è poco più che una sceneggiata nella quale si annunciano risparmi e semplificazioni, ma in concreto si prevedono ulteriori ridondanze e temibili disordini amministrativi. L’unica riduzione di spesa certa, resta quella delle mancate elezioni di una cinquantina di consigli provinciali (circa trecento milioni). Per il resto, è facile immaginarsi sensibili incrementi, sia di trasferimenti finanziari e sia di sprechi e costose sovrapposizioni funzionali.

Chi in futuro dovrà gestire la manutenzione stradale o l’edilizia scolastica o la formazione professionale o i trasporti locali, funzionario o commissario che sia, dovrà misurarsi con un groviglio di competenze, attribuzioni, titolarità che di fatto neutralizzerà ogni decisione. Chi fa cosa e quando e come? Quel che resta della Provincia o la Regione o il Comune o chissachi? E, soprattutto, con quali criteri, priorità, sulla base di quali indirizzi? Bandi, appalti, progetti, assegnazioni, concessioni e l’infinita attività amministrativa di paesi, città e territori finiranno in un gorgo sovraccaricato e confuso. Con la conseguenza di appesantire ulteriormente (forse irrimediabilmente) la quotidianità di milioni di persone, a cui non verranno fornite risposte, così eludendone diritti e bisogni.
Ma forse è proprio qui il senso di quest’amputazione istituzionale. Privare le comunità locali di servizi, riducendo sempre più quell’offerta sociale che in tempi di crisi economica tende al contrario a crescere. E in tal modo abbandonare a un destino di frustrazione e solitudine interi territori, che via via deperiranno per le manchevolezze di un intervento pubblico in via d’estinzione.
Del resto, la tendenza a indebolire le istituzioni di prossimità, con processi di centralizzazione sempre più intensi, è in atto da tempo; e l’accanimento contro le Province ne è solo una tappa. Con il patto di stabilità, tutti gli enti locali sono già di fatto ingabbiati e commissariati, impossibilitati a svolgere quelle funzioni, anche minime, a cui sarebbero obbligati per legge. Senza soldi e subordinati a vincoli e poteri sovraordinati, non riescono più a far fronte a ogni tipo d’esigenza. Perfino stappare i tombini quando piove diventa impossibile; figurarsi garantire un’adeguata rete di servizi sociali. Ne consegue quella progressiva privatizzazione di beni e funzioni, il cui accesso sarà legato alla sola possibilità di comprarseli o meno.
Eccolo qui il nuovo modello civile: se paghi potrai anche ammalarti o tappare le buche per strada o prendere l’autobus o andare a scuola. Diversamente, non potrai curarti, resterai analfabeta e andrai a piedi.
È la selezione “naturale” in corso nel nostro paese. Con la spoliazione d’ogni funzione pubblica per far posto all’iniziativa privata, che pian piano divorerà completamente la nostra vita quotidiana. Diventeremo tutti ex cittadini, per trasformarci in clienti consumatori.
Una quarantina d’anni fa Pier Paolo Pasolini andava dicendo che il nostro futuro sarebbe stato improntato a uno sviluppo senza progresso. E’ andata proprio così. Ha avuto tragicamente ragione.

mercoledì 26 marzo 2014

L'EDITORIALE DI DINO GRECO - 26/03/2014 -

La crisi delle strane coppie

La crisi delle strane coppie

di Dino Greco
Già prima delle ultime elezioni politiche, di fronte alle  contestazioni sulla passività della CGIL da quando si era insediato il governo Monti, Susanna Camusso aveva risposto che il  sindacato da solo non avrebbe potuto farcela. Per questo era indispensabile una sponda politica, che tutto il gruppo dirigente del maggiore sindacato italiano identificava nella vittoria di Bersani. Si sa come è andata.
Allontanatasi la sponda politica, per non essere travolta dalla piena del torrente della crisi, la CGIL ha cercato di aggrapparsi a CISL UIL e Confindustria. La dottrina delle “parti sociali” che nasce nella CISL e nel mondo democristiano, è stata immediatamente adottata. Si sono sottoscritti appelli sul fisco assieme alle associazioni delle imprese, appelli che cancellavano la diversità degli interessi sociali sul tema centrale della riduzione delle tasse. Si è pronunciata quasi simultaneamente alle imprese  la sfiducia verso il nullismo del governo Letta. E soprattutto si è sottoscritto l’accordo del 10 gennaio sulla rappresentanza, un patto corporativo dove le principali organizzazioni dei lavoratori e delle imprese decidono di escludere dal sistema contrattuale chi non é d’accordo con loro.
Ora è proprio il ruolo delle parti sociali che viene aggredito dal governo e quando Susanna Camusso, per difendersi dagli attacchi di Renzi, deve dichiarare che non è vero che sia d’accordo con Squinzi, ammette un doppio fallimento, quello della ricerca della sponda politica e quello del ruolo lobbistico delle “parti sociali”.
Il governo Renzi é il tentativo forse estremo da parte di banche finanza e poteri forti,italiani ed europei, di continuare e persino radicalizzare la politica di austerità con un pò di consenso in più. Per questo fa proprio il populismo liberista, sperando così di trovare quel sostegno nell’opinione pubblica che Monti e Letta hanno rapidamente perduto.
Così si annuncia la lotta alla precarietà del lavoro, ma poi la si estende con i provvedimenti concreti. Si promettono soldi in busta paga, ma si lasciano a secco pensionati e disoccupati, per questi ultimi ci sarà il lavoro se il sindacato non si oppone. E infine si annunciano privatizzazioni e tagli di lavoro pubblico. Insomma il programma di Renzi è una combinazione tra i diktat della Troika e  le rivendicazioni dei Tea party, il movimento populista di destra estrema negli Usa.
L’ attacco alla casta sindacale è parte integrante di questa operazione consenso verso politiche economiche liberiste, ed è possibile anche  perché la CGIL in questi anni ha perso enormemente in credibilità. Il suo gruppo dirigente, quando ha rinunciato a lottare contro la riforma Fornero delle pensioni e la manomissione dell’articolo18, ha segato la pianta che lo sosteneva. E Renzi ora attacca da destra.
Il congresso avrebbe potuto  essere una occasione di vera riflessione sulla crisi della CGIL, invece è stato un percorso di autotutela burocratica, sanzionato da un 97% a favore della lista Camusso che non solo è politicamente ridicolo e numericamente falso, ma è soprattutto la fotografia di una organizzazione che si dice bugie su sé stessa.
L’attacco di Renzi non solo mette in crisi  la strana coppia Camusso Squinzi, ma anche quella della rottamazione tra il Presidente del consiglio e Landini. Il modello sindacale del governo, esaltato dal ministro Poletti ex capo di quelle coop licenziatrici di migranti,  è quello di Marchionne. Gli operai di Melfi che ballano sulle musichette del terribile spot della Fiat, potrebbero fare la stessa danza per la campagna elettorale del presidente del consiglio. Il modello e la cultura sono le stesse.
È difficile dunque che rimanga in piedi il fronte degli innovatori contro quello dei conservatori, visto che Landini è stato conosciuto dal grande pubblico proprio per il suo scontro con Marchionne.
Le strane coppie sono quindi destinate alla implosione, ma non basta questo per far si che il sindacato riesca a trovare una via credibile di ricostruzione del proprio ruolo.
Perché questo avvenga ci vogliono atti costituenti che richiedono rotture di linea politica e di pratiche abitudinarie.
Si deve rompere con l’Europa delle banche e del fiscal compact, e costruire un’azione sindacale di contrasto continuo e diffuso alle politiche di austerità.
Si deve rompere con il sindacalismo burocratico e ricostruire la grande funzione del sindacato come organizzatore sociale.
Si deve rompere con i palazzi e dunque oggi con il collateralismo con il partito democratico.
Una CGIL che praticasse queste tre rotture nella sua azione quotidiana diventerebbe un eccezionale punto di riferimento per chi oggi paga tutti costi della crisi.
Ma i gruppi dirigenti e gli apparati del più grande sindacato italiano hanno paura dei costi politici e organizzativi di questa scelta, preferiscono la sponda dell’autoconservazione anche con gli insulti di Renzi, piuttosto che rischiare il mare aperto. E così affondano.

venerdì 21 marzo 2014

COMUNICATO STAMPA

COMUNICATO STAMPA – INVITO ALLA CITTADINANZA

Come noto, in vista delle prossime Elezioni Europee del 25 Maggio, a seguito della proposta di alcuni intellettuali, professionisti ed esponenti della società civile, una buona parte della Sinistra radicale italiana ha pensato di appoggiare la candidatura di Alexis Tsipras a Presidente della Commissione Europea, avanzata dal Partito della Sinistra Europea (SE).  Si è perciò costituita a tal fine una lista unitaria che ha scelto per sé la denominazione di
“ L’Altra Europa con Tsipras “.

In Valcamonica ed Alto Sebino molti cittadini hanno appoggiato la candidatura in questa lista per il Parlamento Europeo, del compagno Alex Domenighini, sindaco uscente di Malegno dopo un doppio mandato, per il collegio elettorale nord – ovest.

Questo obbiettivo è stato purtroppo mancato di un soffio, ma alcuni tra i sostenitori di questa candidatura hanno deciso di promuovere a livello locale ( Valcamonica – Alto Sebino ) la costituzione di un Comitato di sostegno a questa lista e Alex Domenighini ha accettato di esserne il garante; si ritiene infatti che al di là dell’attuale contingenza si possa e si debba, in questo preciso momento storico e politico, tornare a fare politica attiva sul territorio, che tra l’altro sarà interessato da alcuni rinnovi di Amministrazioni locali, e si possa verificare un’ampia convergenza di partiti, associazioni, movimenti, intorno all’idea di un’Europa dei popoli e dei cittadini, che pur sentendosi e volendosi unita, tuteli il diritto all’espressione ed i diritti individuali dei singoli e sia rispettosa delle minoranze e che si possa progettare una società più giusta, che rimetta al centro delle proprie politiche il lavoro ed i bisogni reali dei singoli, che costruisca inclusione, socializzazione, condivisione e solidarietà e non consumismo passivo ed egoista, che lotti contro lo strapotere  delle rendite finanziarie, delle istituzioni finanziarie espressione di una politica e di un pensiero dominante neoliberista,  della speculazione, dei comitati d’affari e dei potentati economici.

Si vuole affermare la necessità di una visione del mondo critica, di sinistra, che pur volgendo lo sguardo alla complessità del mondo globalizzato, non trascuri i problemi quotidiani e peculiari del territorio. Il nostro conterraneo Alex Domenighini ha saputo conquistare in questi anni, da Amministratore oltre che da militante infaticabile, notevoli consensi, stima ed affetto,  mostrandosi fiducioso, convinto  e soprattutto  coerente con una visione della politica nobile e disinteressata, come si sarebbe detto una volta sintesi di pensiero globale e di azione locale e quindi noi crediamo che si possano coagulare intorno a lui le istanze e le aspettative di tanti: gruppi organizzati, associazioni, partiti, rappresentanti del mondo del lavoro e movimenti presenti sul nostro territorio.
Per dare vita a questo nuovo soggetto, che potremmo provvisoriamente chiamare un

“ Comitato per un’altra Europa e un’altra Valcamonica e Sebino “

nell’auspicio che esso sia veramente un’occasione ampiamente condivisa per tornare a progettare un futuro migliore per la nostra Valle e il nostro Lago, tutti i singoli cittadini, i gruppi di cui sopra, i portatori delle istanze dei soggetti deboli così come quelli del mondo produttivo, sono invitati ad una

Pubblica Assemblea che si terrà il giorno mercoledì 26 marzo dalle ore 20,30  presso la sala conferenza della Camera del Lavoro di Darfo (CGIL)

Ci sono molte cose che dovremo discutere ed organizzare ed il tempo che ci resta da qui alle elezioni non è molto. Abbiamo bisogno del contributo di tutti, partiti, associazioni e singoli che si possano riconoscere in quanto sopra descritto. E’ un progetto che mira ad andare oltre le mille (forse inutili) spaccature e divergenze che hanno contraddistinto negli ultimi decenni la Sinistra italiana.

Vi aspettiamo numerosi!!!

mercoledì 19 marzo 2014

LIBERAZIONE OGGI CHIUDE!!!!!

Il comunicato di Paolo Ferrero

pubblicata alle ore:19/03/2014
Da oggi Liberazione cessa le pubblicazioni. Si tratta di una decisione triste perché Liberazione, prima settimanale, poi quotidiana, poi, dopo un periodo di sospensione delle pubblicazioni, on-line, è il giornale del nostro partito da oltre un ventennio. La storia di Liberazione e la storia di Rifondazione Comunista sono state - nel bene e nel male - intrecciate in modo indissolubile. Oggi dobbiamo sciogliere questo legame con la chiusura di Liberazione perché il deficit del giornale rischia di soffocare il partito, che non ha i soldi per coprire ulteriormente i buchi di bilancio. Si tratta di una scelta obbligata: se non chiudessimo il giornale dovremo a breve chiudere anche il partito. Abbiamo cercato in questi anni di trovare i modi e le forme attraverso cui rendere il giornale autosufficiente ma non ci siamo riusciti e adesso dobbiamo prenderne atto prima che sia troppo tardi. Prendere atto di questa situazione è necessario per evitare danni maggiori. In questo contesto voglio fare 4 ringraziamenti e assumere un impegno. Il primo ringraziamento è a Dino Greco. Ha accettato di cambiare radicalmente la sua vita venendo a Roma a dirigere Liberazione e abbandonando la sua esperienza da sindacalista. Non si è trattato per Dino di una scelta facile né indolore ed è stato un grande gesto disinteressato che Dino ha fatto nei confronti del partito e del giornale dopo la disastrosa direzione di Piero Sansonetti. Dino ha diretto il giornale in anni difficilissimi ed ha continuato a scrivere su Liberazione anche dopo essere andato in pensione, con una passione ed un impegno che parlano da soli. Il secondo ringraziamento è a Romina Velchi. La storia di Romina è diversa: giornalista di Liberazione sin dall'inizio, ha accettato di fare la vicedirettrice prima e la direttrice da ultimo, in puro spirito di servizio e militanza. Quando Romina ha preso la direzione del giornale sapeva che le possibilità di continuare ad uscire erano molto basse ma lo ha fatto lo stesso. Non è facile trovare compagni e compagne come Romina disposti a "metterci la faccia" in una impresa che si sa difficilmente sarà coronata dal successo. Il terzo ringraziamento è a quel gruppo di giornalisti - una piccola parte sul complesso dei giornalisti - che in questi anni hanno portato avanti concretamente il giornale e che lo hanno difeso dagli attacchi esterni ed interni. Si tratta di compagni e compagne che hanno interpretato il loro ruolo di giornalisti con quel senso di militanza e con quella deontologia professionale che ci hanno permesso di arrivare sin qui. Da ultimo - ma non meno importante - voglio ringraziare i compagni e le compagne che hanno in questi anni acquistato e sostenuto Liberazione ed in particolare a chi lo ha sostenuto in quest'ultimo periodo. Chiudiamo avendo un migliaio di abbonamenti e un certo flusso di sottoscrizioni. Voglio ringraziare questi compagni e compagne perché so quanto vale questo sostegno. So quanto costa tirare fuori 50 o 100 euro - oltre a quelli della tessera, a quelli per pagare l'affitto del circolo, alla benzina non rimborsata - per sostenere il giornale, il nostro giornale, la stampa comunista, come si diceva una volta. Non siamo nelle condizioni di rimborsare gli abbonamenti, possiamo solo dire di averli usati tutti, fino all'ultimo centesimo, per fare quella battaglia politico culturale a cui tutti teniamo. Dopo i ringraziamenti l'impegno. L'impegno è a decidere entro l'estate le forme di informazione, comunicazione e riflessione, a cui deve dar vita Rifondazione Comunista, per perseguire efficacemente il proprio disegno politico. Dopo le elezioni europee, qualsiasi sia il risultato, dovremo definire con maggiore precisione il ruolo e il progetto politico del nostro partito e - in questo contesto - degli strumenti informativi di cui ci dovremo dotare. Voglio dire subito con chiarezza che non è questo un impegno a riaprire Liberazione. Faremo di tutto ovviamente per salvare la testata ma non vi sono oggi le condizioni finanziarie e non vi saranno domani per riaprire un giornale basato sul lavoro di giornalisti professionisti. Dovremo inventare forme nuove che segnino una discontinuità con il passato. Una cosa voglio sottolineare infine. Abbiamo detto che la storia di Liberazione e del Partito della Rifondazione Comunista sono strettamente intrecciate. Qualcuno voleva chiudere Liberazione per cercare di chiudere anche Rifondazione. In questi anni di nemici ce ne siamo fatti tanti. Con la decisione che da oggi è operativa, noi facciamo l'esatto contrario: ci priviamo di Liberazione - che non siamo più in grado di sostenere finanziariamente - proprio per permettere a Rifondazione Comunista di proseguire e di battersi per l'affermazione del socialismo, della libertà e della giustizia. La chiusura di Liberazione non è la fine del nostro progetto politico. E' una scelta dolorosa affinché il progetto politico da cui Liberazione era nata possa continuare a vivere.
di Paolo Ferrero

LIBERAZIONE

Il comunicato del direttore

pubblicata alle ore:19/03/2014
Care lettrici, cari lettori, ho sperato fino all'ultimo di non dover scrivere queste righe. L'ho sperato perché ritenevo (e ritengo) che un partito comunista, che tra i suoi compiti ha quello della formazione di una coscienza di classe, non possa fare a meno di uno strumento di comunicazione/informazione non solo come veicolo per la diffusione di idee e programmi, ma anche come mezzo per lo sviluppo della stessa attività politica. Ora che la parola fine è stata messa nero su bianco, sembra che non resti altro da fare che prenderne atto. Si poteva evitare questo epilogo? Forse no. Ci si poteva arrivare in un altro modo? Certamente sì. Conosciamo, e non da oggi, la straordinaria e drammatica condizione economica in cui si dibatte il nostro partito e, di conseguenza, la società editrice di Liberazione. E conosciamo le importanti risorse finanziarie che il Prc ha impiegato negli anni passati per salvare il giornale, ridurre i debiti e non far fallire la Mrc, pur in una condizione generale di crisi. Conosciamo tutto questo talmente bene che non ci siamo mai tirati indietro quando si è trattato di fare sforzi, personali e collettivi, per tenere in vita il giornale che, vale forse la pena ricordarlo, accompagna la storia del Prc da oltre vent'anni. Con caparbietà abbiamo messo in campo tutte le iniziative possibili, specie dopo la fine delle pubblicazioni del giornale cartaceo (ormai nel lontano dicembre 2011) sempre e solo con l'intento di essere utili prima di tutto al partito, pur nella dimensione sempre più ridotta in termini di risorse umane e finanziarie. Uno sforzo che il più delle volte è sembrato cadere nel vuoto e nel disinteresse, non tanto del corpo militante del partito, quanto dei suoi dirigenti. Eppure non ci siamo scoraggiati: prima con un sito web "clandestino" (il settimanale Ombrerosse, ospitato su Controlacrisi), poi con Liberazione.it, sempre rispettando lealmente le decisioni assunte dal Prc. Una cosa sola chiedevamo in cambio: l'impegno del partito a non disperdere questo lavoro e a dare una prospettiva politica a questo sforzo. Questo impegno, oggettivamente, non c'è stato. Non solo in termini di abbonamenti (che pure erano di vitale importanza, come si vede), ma soprattutto di costruzione di un percorso che permettesse di non arrivare alla morte più o meno annunciata di Liberazione circondati dal vuoto assoluto: vuoto di proposte; vuoto di progetti; vuoto di programmazione. Che idea ha il partito della propria comunicazione? Di che strumenti ha bisogno? Di un sito? Di due? Di tre? Di nessuno? L'attuale proliferare di pagine web è fonte di ricchezza o di confusione? Serve un house organ oppure no? E in che forme? Gratuito? A pagamento? Basta una rassegna stampa? Si noti che di tempo ce n'è stato per affrontare questi temi, ma ogni volta c'era qualcosa di più urgente. Fino ad arrivare all'inesorabile. Nessuno di noi ha mai pensato, nelle condizioni date, di riproporre "una vecchia" Liberazione, se non altro perché le forme stesse della comunicazione sono radicalmente cambiate da quando, nel 1996, Liberazione settimanale divenne quotidiano, nell'entusiasmo generale. Non è questo il punto. Sul tavolo esiste un ampio ventaglio di proposte e altre ancora se ne possono avanzare. Così come non è in discussione la gravità della situazione finanziaria. Si chiedeva (e si chiede) di manifestare una volontà; di mostrare coerenza tra le cose che si dicono e quelle che si fanno. Insomma, di mettere in campo un percorso che ci permettesse di guardare avanti, di superare la difficilissima fase in cui ci troviamo, come giornale e come partito, creando le basi per un rilancio organizzativo di tutto il comparto della nostra comunicazione politica. Invece, arriviamo ad un traguardo oltre il quale non c'è nulla, tranne la chiara volontà di chiudere Liberazione per salvare il partito. Come se le due cose non stessero insieme. Come se, al contrario, la chiusura della testata storica del partito non rischi di essere un colpo mortale al partito stesso, per di più alla vigilia di un passaggio cruciale come quello delle elezioni europee. C'è stata, a nostro avviso, una sottovalutazione grave della dimensione politica della questione, lasciando che la discussione vertesse solo sulla dimensione economica. Che, infatti, lascia completamente aperto l'interrogativo sul "che fare ora", cui può dare una risposta solo un chiaro progetto politico. Ai lettori, agli abbonati va il nostro ringraziamento: ci hanno sostenuto, gratificato, criticato, sollecitato. E le nostre scuse per non sapere "cosa dire", per non sapere indicare se e quando saremo mai in grado di tornare ad essere la voce del Partito della Rifondazione comunista; la voce dei comunisti.
di Romina Velchi

venerdì 14 marzo 2014

L'EDITORIALE DI DINO GRECO

ECONOMIA

La Volskwagen e il buffone che ha distrutto la Fiat fingendo di salvarla

Vi ricordate con quanti irridenti improperi Sergio Marchionne si scrollava dalle spalle le critiche a lui indirizzate per la politica industriale della Fiat, fra dismissioni di stabilimenti, tagli occupazionali, crollo delle vendite, all’estero e in Italia?
Quando gli si fece osservare che del progetto denominato “Fabbrica Italia”, corredato da un piano di investimenti stimato in 20 miliardi, non vi era neppure la più labile traccia, il magnifico amministratore delegato del Lingotto escogitò, lì per lì, una spiegazione stupefacente per tutti, meno che per i nostri corrivi governanti, che suonava così: “E’ assurdo chiedere ad un grande gruppo di investire consistenti risorse finanziare per creare nuovi modelli mentre il mercato dell’auto si restringe”, perché sarebbero denari buttati. “Gli investimenti li faremo – sentenziava – quando la domanda riprenderà a tirare”. E a chi replicava che solo chi avesse investito oggi (in prodotti, ricerca, tecnologie, nuove motorizzazioni) si sarebbe assicurato prospettive per il domani, Marchionne rispondeva eludendo il tema posto e dava sfoggio alle sue millanterie di eroe dei due mondi, di salvatore provvidenziale di due grandi aziende, di qua e di là dell’oceano, la Fiat e la Chrysler, altrimenti destinate al fallimento.
Il solo terreno su cui il general manager investiva davvero e senza risparmio le sue energie, con i rampolli di casa Agnelli al seguito, erano (sono) l’attacco ai lavoratori, ai loro salari, ai loro diritti, al loro sindacato. Corroborato, in questa meritoria impresa dai governi - Berlusconi prima e Monti poi – tutti solidalmente ingaggiati in una lotta senza quartiere contro la assai presunta rigidità del nostro mercato del lavoro e contro lo Statuto dei lavoratori, a loro dire responsabili della scarsa propensione all’investimento nel nostro paese da parte dei maggiori player industriali esteri.
Che fossero tutte plateali fandonie, frutto di una vera e propria campagna ideologica, orchestrata per mettere la mordacchia al lavoro e chiudere definitivamente i conti con ciò che rimaneva delle conquiste operaie degli anni Settanta, era già allora cosa evidente. Rimasero tuttavia solo i comunisti, la Fiom e i sindacati di base a denunciare il carattere fraudolento dell’operazione e a svelare che dietro questa brutale regressione dei rapporti sociali si nascondeva anche una sostanziale incapacità imprenditoriale, una rinuncia al rischio industriale, una propensione parassitaria, contrassegno di una parte non piccola della borghesia italiana.
Ora arriva Volskwagen group a raccontare, dati alla mano, un’altra storia e a sputtanare i “capitani coraggiosi” che hanno fatto macerie dell’azienda che ha avuto il privilegio di produrre auto in Italia in regime di monopolio.
Ebbene, la casa tedesca, con i suoi dodici marchi (Vw, Audi, Porsche, Skoda, Seat, Lamborghini, Bentley, Bugatti, Vw veicoli industriali, Man, Scania, Ducati) sta sbancando il mercato, avendo venduto, nel 2013, quasi 10 milioni di automobili, ad un solo palmo dalla Toyota per ora ancora leader mondiale.
E qual è il “segreto” di questa stupefacente performance in un anno che tutti i costruttori mondiali hanno definito “duro”?
Anche qui parlano le cifre: investimenti in prodotti ad alto contenuto tecnologico (cento nuovi modelli da qui a fine 2015), motorizzazioni d’avanguardia (benzina, gas, diesel, ibrida o elettrica pura su quasi tutte le cilindrate, secondo richiesta). E 23 mila posti di lavoro creati in tutto il mondo senza perderne in casa. Con un 'piccolo' risultato a latere: in Germania ad ogni dipendente ed in misura eguale sarà corrisposto un bonus di 6.200 euro.
Il corrispettivo teutonico di Marchionne, l’Ad Norbert Reithofer, spiega: “Il nostro obiettivo è eccellere nella qualità della ricerca tecnologica, del prodotto a tolleranza zero verso i difetti, nella qualità del rapporto con i dipendenti, il nostro maggior tesoro: noi non crediamo all’efficacia di spettacolari tagli”.
Questo accade nell’azienda che compete alla pari con la Fiat, nell’area euro, ma dove si pagano i salari più alti e si effettuano gli orari di lavoro più bassi del mondo.
Dino Greco
in data:14/03/2014

giovedì 13 marzo 2014

INIZIATIVA PUBBLICA!!!!



ASSEMBLEA PUBBLICA








Mercoledì  19  Marzo alle ore 20,45
LOVERE  Sala polivalente biblioteca civica

Intervengono

AUGUSTO ROCCHI        direzionale nazionale PRC
DANIELE GAZZOLI        segretario CGIL  - Valle Camonica – Sebino

Coordina  
FRANCESCO MACARIO  segretario provinciale PRC

LAVORATORI, GIOVANI,    PRECARI, DISOCCUPATI
partecipate, non fatevi schiacciare e siate protagonisti del vostro futuro

venerdì 7 marzo 2014

Euro-insubordinati in nome di Tsipras

Euro-insubordinati in nome di Tsipras


di Roberto Ciccarelli – il manifesto
In campo. Presentate a Roma le candidature dell’«Altra Europa con Tsipras: 37 uomini, 36 donne; 59 candidati sono stati espressi da movimenti, associazioni e «società civile», 14 dai partiti. Nel programma: riscrivere lo statuto della Bce, investimenti pubblici e tutele sociali, un’Europa che non cede al neoliberismo e ai nazionalismi
La lista «L’Altra Europa con Tsi­pras» ha pre­sen­tato 73 can­di­da­ture per le ele­zioni euro­pee di mag­gio. Ci sono 37 uomini, 36 sono le donne; 59 can­di­dati sono stati espressi da movi­menti, asso­cia­zioni e «società civile», 14 dai par­titi che sosten­gono la lista: Sel e Rifon­da­zione comu­ni­sta. Sono state rac­colte oltre 200 pro­po­ste, cia­scuna delle quali sot­to­scritta da asso­cia­zioni, comi­tati, gruppi o par­titi che hanno ade­rito alla lista. Oltre 7 mila sono state le firme a soste­gno delle can­di­da­ture, un dato che con­ferma l’interesse per un espe­ri­mento in con­tro­ten­denza con i recenti e disa­strosi fal­li­menti della «sini­stra radi­cale». L’obiettivo è rag­giun­gere un risul­tato a due cifre, anche se il 6–7% dei voti che i primi son­daggi attri­bui­scono alla lista «ci ren­dono molto contenti».
Lo ha detto ieri Bar­bara Spi­nelli, capo­li­sta in tre cir­co­scri­zioni su 5. «Io di mestiere scrivo – ha detto – Ho pen­sato che que­ste capa­cità dovevo comu­ni­carle diver­sa­mente per met­terle a dispo­si­zione degli invi­si­bili, testi­mo­niando per chi non ha voce, per farli diven­tare com­bat­tenti per un’Europa radi­cal­mente diversa da quella che ci hanno con­se­gnato i con­ser­va­tori e da quella che vuole ritor­nare alle sovra­nità nazio­nali. Que­ste forze oggi sono com­plici e vogliono garan­tire lo sta­tus quo». Per Spi­nelli que­sto ragio­na­mento trac­cia la linea degli «euroin­su­bor­di­nati». Un tra­iet­to­ria che parte da sini­stra con la can­di­da­tura di Tsi­pras, desi­gnato alla pre­si­denza della Com­mis­sione euro­pea dalla sini­stra euro­pea nel con­gresso tenuto a Madrid e riven­di­cato da Rifon­da­zione Comu­ni­sta, e che ambi­sce a con­qui­starsi una posi­zione auto­noma rispetto ai socia­li­sti e demo­cra­tici euro­pei (dove si trova ilPd di Mat­teo Renzi), ai con­ser­va­tori e ai libe­rali. Con Verho­stadt, can­di­dato dell’Alde, come con lo stesso Schultz can­di­dato dei socia­li­sti, Spi­nelli non ha tut­ta­via escluso contatti.
Sul ritiro della can­di­da­tura di Camil­leri, le spie­ga­zioni sono state forse poco con­vin­centi. Averla comu­ni­cata il 2 marzo, per poi smen­tirla subito dopo, è attri­buito alla «gioia che si can­di­dava». Men­tre in realtà quella deci­sione non era stata ancora presa. Spi­nelli si è scu­sata per l’«intempestività» e assi­cura che Camil­leri con­ti­nuerà a soste­nere la lista. Spi­nelli ha infine spie­gato la sua deci­sione di riti­rarsi dopo l’eventuale ele­zione. Di solito que­sto avviene a urne chiuse quando i poli­tici nazio­nali cedono il posto alle seconde file. Averlo annun­ciato prima, ha detto Spi­nelli, «per­mette di eleg­gere i più votati e com­pe­tenti. Lo per­mette il metodo delle preferenze».
Agli «euroin­su­bor­di­nati» la gior­na­li­sta e scrit­trice, figlia di Altiero Spi­nelli, pro­pone un ragio­na­mento poli­tico com­plesso, ma che rien­tra nelle corde della sini­stra euro­pea. Dimo­strare che esi­ste, oggi, la pos­si­bi­lità di essere con­tro l’austerità senza cedere ai popu­li­smi che con ogni pro­ba­bi­lità mie­te­ranno suc­cessi alle pros­sime ele­zioni. Il movi­mento 5 Stelle di Grillo e Casa­leg­gio, con­si­de­rato ad oggi il depo­si­ta­rio delle posi­zioni anti-austerità, viene dato in una for­bice tra il 20–25%. Su que­sta base sono rie­merse ieri parole che non ascol­ta­vamo da almeno un decen­nio in una sede poli­tica ita­liana: l’idea dell’Europa non pri­gio­niera del neo­li­be­ri­smo e del suo deter­mi­ni­smo eco­no­mi­ci­sta. Un’Europa dove la per­dita della sovra­nità degli Stati-nazione non è pre­li­mi­nare all’esproprio della deci­sione poli­tica dei popoli, come degli indi­vi­dui, bensì ad una redi­stri­bu­zione della ric­chezza e dei poteri a livello sovra­na­zio­nale e in maniera democratica.
Un’Europa, infine, poli­tica, che sap­pia cioè rive­dere di sana pianta i suoi trat­tati; rove­sciare i man­dati costi­tu­tivi della Bce di Mario Dra­ghi; avviare un piano neo-keynesiano di inve­sti­menti pub­blici; appli­care le tutele sociali minime a par­tire da un sala­rio e da un red­dito minimo per 19 milioni di disoc­cu­pati e per­lo­meno il dop­pio di pre­cari e lavo­ra­tori auto­nomi. Tsi­pras ha pro­po­sto una con­fe­renza euro­pea sul debito per i paesi dell’Europa del Sud, simile a quella che nel 1953 alle­viò il peso che gra­vava sulla Ger­ma­nia del Dopo­guerra. Una pro­po­sta ripresa dalla lista ita­liana, poten­zial­mente capace di rom­pere ogni schema di poli­tica eco­no­mica adot­tata in Italia.
Un altro mondo, incon­ce­pi­bile. Sapendo che il vero banco di prova sarà il dopo-elezioni. Nascerà una pro­spet­tiva costi­tuente, e uno spa­zio poli­tico, tra le com­pa­gini che stanno dando vita a que­sta espe­rienza, ma soprat­tutto oltre?

giovedì 6 marzo 2014

LA LISTA TSIPRAS PER LE ELEZIONI!!!

POLITICA

L'altra Europa con Tsipras, presentati simbolo e candidati

In una sala dell'Associazione stampa romana Barbara Spinelli ufficializza la lista che rimette insieme partiti di sinistra e società civile. Tra le polemiche il ritiro di Andrea Camilleri. Otto i candidati e le candidate di Rifondazione comunista.

Non è stato facile neanche questa volta ed è ancora incerto al massimo l'esito elettorale per le prossime europee. Ma anche per questo importante appuntamento la sinistra d'alternativa, quella che per intenderci non vuole un'Europa fatta così come è ora, è riuscita a presentare una propria lista autonoma dal Pd e dai partiti socialisti europei che poco hanno fatto per cambiare una politica sdraiata sulle banche e sulla finanza. Poche ora fa presso la sede di Piazza della Torretta dell'Associazione stampa romana i promotori della lista “L'altra Europa con Tsipras” hanno presentato ufficialmente il proprio simbolo e le 73 candidature, 37 maschili e 36 femminili. Tutto è maturato in questi ultimi mesi. Sei nomi noti nel mondo della cultura italiana, Andrea Camilleri, Barbara Spinelli, Marco Revelli, Paolo Flores d'Arcais, Luciano Gallino e Guido Viale lanciavano un appello per la realizzazione di una lista per le europee che sostenesse la candidatura alla presidenza della Commissione europea di Alexis Tsipras, leader di Syriza, il principale partito greco nato grazie all'alleanza delle forze della sinistra d'alternativa di quel Paese ad eccezione dei comunisti del Kke. Un simbolo della società civile, autonoma dai partiti ma che non li escludesse. Così, dopo anni di litigi e di incomunicabilità, anche Sel, Rifondazione comunista e il Pdci si sono ritrovati insieme, presentando alcuni loro candidati. Tra questi Fabio Amato, membro della segreteria e responsabile esteri del Prc, Eleonora Forenza, anch'essa della segreteria del partito diretto da Ferrero. Tra i nomi di spicco, Curzio Maltese, Giuliana Sgrena, Adriano Prosperi, Piergiovanni Alleva, Moni Ovadia, Barbara Spinelli, Loredana Lipperini, Lorella Zanardo, Sandro Medici, Ermanno Rea. Dopo l'introduzione di Massimo Torelli, esponente di Alba, ha preso la parola l'editorialista di Repubblica, che con la sua decisione aveva mandato su tutte le furie Eugenio Scalfari e il presidente Napolitano. "Io penso che ognuno deve fare quello che sa - ha detto nel corso della conferenza stampa, - e io mi esercito nella scrittura, nello smascherare le falsità che vengono dette in politica. Questa cosa, bene o male, la faccio da decenni. So fare solo questo. Non so fare politica. Ma a un certo punto ho pensato che questa idea di Europa e queste idee dovevo usarle in modo diverso, non per cominciare un altro mestiere, ma per metterci la faccia, testimoniando con questo impegno diretto il mio appoggio e la mia adesione alla battaglia che vogliamo fare". La figlia del grande Altiero, tra gli ideatori del “Manifesto di Ventotene”, che metteva le basi per un'Europa unita, federalista, giusta e democratica, ha anche annunciato che, in caso di elezione, avrebbe fatto un passo indietro per lasciare il posto a chi ha appunto maggiore dimestichezza con la politica. La stessa cosa avrebbe dovuto fare anche lo scrittore Andrea Camilleri, senz'altro il più conosciuto tra i fautori della lista. Ma l'ideatore del commissario Montalbano si è tirato indietro all'ultimo momento, coinvolto come è stato in una querelle tra D'Arcais, suo sostenitore ma anche fautore della candidatura di Sonia Alfano, osteggiata dagli altri quattro firmatari perché già eurodeputata e dunque non candidabile per le regole che erano state stabilite, e contrario alla presenza tra i candidati di Luca Casarini per i precedenti penali legati a reati di carattere sociale commessi quando era leader dei no-global. Una storia che ha convinto alla fine il romanziere siciliano a tirarsi indietro. Peccato. Resta almeno la speranza, come ha auspicato Barbara Spinelli, di un suo sostegno comunque alla lista, e, naturalmente, di un successo che metta la parola fine al declino della sinistra d'alternativa in Italia e apra la strada anche nel nostro Paese ad un pensiero europeista democratico e di sinistra. Un po' come avrebbero voluto Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni.
Questo il commento di Paolo Ferrero, segretario del Prc: «Rifondazione Comunista sostiene convintamente la lista Tsipras, che riapre una speranza in Italia ed in Europa. La speranza di rovesciare quelle politiche di austerità che favoriscono gli speculatori e di mettere al centro i bisogni dei cittadini a partire dalla piena occupazione. Con questa lista ci proponiamo di superare la falsa contrapposizione tra europeisti ed antieuropeisti: il problema è uscire dalle politiche di austerità rivoltando l’Europa come un calzino, mettendo al centro l’occupazione e la giustizia sociale. Per questo il riferimento a Tsipras, il leader dell’opposizione di sinistra che in Grecia si batte contro i diktat della Merkel e della troika: perché vogliamo un’altra Europa».

martedì 4 marzo 2014

IPSE DIXIT


Sulla proprietà privata

Voi inorridite all'idea che noi vogliamo abolire la proprietà privata. Ma nell'attuale vostra società la proprietà privata è abolita per nove decimi dei suoi membri; anzi, essa esiste precisamente in quanto per quei nove decimi non esiste.
Voi ci rimproverate dunque di voler abolire una proprietà privata che ha per condizione necessaria la mancanza di proprietà per l'enorme maggioranza della società. In una parola , voi ci rimproverate di voler abolire la vostra proprietà. E' vero: è questo che vogliamo.
Dall'istante in cui il lavoro non può più essere trasformato in capitale, denaro, rendita fondiaria, insomma, in una forza sociale monopolizzabile, dall'istante cioè in cui la proprietà personale non si può più mutare in proprietà borghese, da quell'istante voi dichiarate che è abolita la persona. Voi confessate, dunque, che per persona non intendete altro che il borghese, il proprietario borghese. Ebbene, questa persona deve effettivamente essere abolita.
Il comunismo non toglie a nessuno la facoltà di appropriarsi dei prodotti sociali; toglie soltanto la facoltà di valersi di tale appropriazione per asservire lavoro altrui.
E' stato obiettato che con l'abolizione della proprietà privata cesserebbe ogni attività, si diffonderebbe una neghittosità generale. Se fosse così, la società borghese sarebbe da molto tempo andata in rovina, giacché in essa chi lavora non guadagna e chi guadagna non lavora.
Karl Marx, Friedrich Engels
in data:04/03/2014

L'EDITORIALE DI DINO GRECO

La parte sporca (e ipocrita) della Storia

Nei giorni bui di questo scorcio di secolo, Barak Obama, depositario di tante attese in lui imprudentemente riposte dall'America uscita con le ossa rotte dal buschismo, ha risfoderato, nel pieno della crisi ucraina, l'antico vizio (meno arrogante, all'apparenza, ma sempre insopportabilmente presuntuoso) di parlare nel nome della Storia, il cui spirito benefico agirebbe come limo fecondo nel mondo per il tramite del popolo americano e dei suoi capi. Ieri il presidente Usa ha appunto gridato urbi et orbi che Putin "sta dalla parte sbagliata della Storia".
Ora, da che parte stia la Russia di Putin, dopo la rovinosa caduta del socialismo realizzato e dopo le devastazioni sociali prodotte dalla vittoria semiplanetaria del capitale, è cosa piuttosto evidente.
Non è invece per nulla chiaro (agli occhi di un'opinione pubblica ipnotizzata dalle contraffazioni ideologiche del pensiero unico e dalla "disinformazia" sciorinata a piene mani dalla stampa embedded) su quale crinale della Storia stiano gli States che forti dello spaventoso deterrente militare di cui dispongono esercitano da oltre mezzo secolo, con ogni mezzo e senza alcuno scrupolo morale il proprio dominio economico e politico su una porzione rilevante del pianeta. E che pur tuttavia continuano a dispensare, a dritta e a manca, grottesche lezioni di democrazia, merce di cui si sono fraudolentemente intestati il copyright e il diritto esclusivo di esportazione.
Provino a spiegarci, questi campioni della sicurezza mondiale, quando e quante volte sono stati dalla parte giusta della Storia.
Quando dal 6 al 9 agosto del 1945 hanno sganciato su un Giappone in ginocchio due bombe atomiche, radendo al suolo le città di Hiroshima e Nagasaki, uccidendo istantaneamente le 200 mila persone che vi abitavano e causando negli anni altre decine di migliaia di vittime per effetto della contaminazione radioattiva?  O quando nel marzo del 1960 la Cia addestrò e armò i mercenari che sbarcarono a Cuba, alla Baia dei Porci, nel tentativo di rovesciare il governo rivoluzionario di Fidel Castro?
Furono dalla parte giusta della Storia, gli Stati uniti, quando organizzarono i colpi di stato contro il Nicaragua sandinista nel 1936, contro l'Indonesia di Sukarto nel 1966, contro il Cile di Salvador Allende nel 1973? O quando, il 9 ottobre del 1967, la Casa Bianca ordinò al dittatore boliviano Barrientos l'assassinio a freddo di Ernesto Che Guevara?
Furono dalla parte giusta della Storia quando per 15 anni, dal 1960 al 1975, scatenarono l'aggessione contro il Vietnam comunista di Ho Chi Minh, rovesciando su quel paese più bombe di quante ne caddero su tutta la Germania nel corso della seconda guerra mondiale e provocando una delle più immani carneficine della storia che costò la vita a 4 milioni di civili?
Furono dalla parte giusta della Storia, gli States, quando condussero le due guerre del Golfo contro l'ex alleato iracheno (1973 e 2003), motivando l'aggressione con la presunta esistenza in quel paese (dimostratasi poi una deliberata invenzione) di armi di distruzione di massa, aggressione risoltasi in un bagno di sangue (furono 700.000 gli iracheni uccisi nel secondo, micidiale tour statunitense, secondo John Tirman, principale ricercatore presso il Centro studi del Massachusetts Insitute of  Technology)?
Furono dalla parte giusta della Storia quando nel 2000, sempre per "immarcescibili scopi umanitari" guidarono i bombardamenti all'uranio impoverito su Belgrado per disfarsi di ciò che rimaneva della Repubblica federale di Iugoslavia? 
Sono stati dalla parte giusta della Storia quando hanno sostenuto i governi fascisti o golpisti o corrotti (ma proni agli interessi americani) di Suharto, di Batista, di Somoza, di Pinochet, di Videla e, ancora oggi, di Santos e di Perez Molina?
E di quanta democrazia gli States sono stati interpreti, in casa propria, nella loro in fondo non lunghissima storia, dall'assassinio di Sacco e Vanzetti, nell'agosto del 1927, messi a morte, solo in quanto anarchici, dopo una farsesca montatura processuale, a quello di Iulius e Ethel Rosemberg, mandati sulla sedia elettrica, nel 1953, come spie sovietiche, in realtà in quanto comunisti, nella quasi decennale stagione del maccartismo che costò l'esilio persino a Charlie Chaplin, accusato di attività antiamericane. E quanto è limpida la tradizione democratica di un paese nel quale i colpi di stato interni sono avvenuti attraverso oscuri complotti e l'uccisione di presidenti o candidati alla presidenza, come nella vicenda dei Kennedy, ancora avvolta nel mistero. Un paese nel quale i servizi segreti, dalla Cia all'Fbi, alla Nsa giocano un ruolo così opaco e rilevante nella vita del paese e nel mondo intero?
Dino Greco
in data:04/03/2014

CENA PER EMERGENCY!!!...............NON MANCATE!!!