giovedì 30 maggio 2013

SALVIAMO LIBERAZIONE

Liberazione serve. Facciamola vivere

Da gennaio c’è un giornale quotidiano on-line che si chiama Liberazione.it, giornale comunista. Proprietario della testata è il Partito della Rifondazione comunista, lo stesso che per vent’anni ha editato l’edizione cartacea che in passato avete trovato (con un po’ di fortuna) nelle edicole.
Oggi, in seguito ai consistenti tagli del fondo per l’editoria di partito e di idee, questa possibilità ci è preclusa: troppo grandi sono per le nostre gracili spalle i costi della distribuzione, delle tipografie, della carta. Anche questo, se mai qualcuno non se ne fosse accorto, è il risultato della forsennata campagna condotta dai ricchi contro i poveri per privarli, nei fatti, dell’elementare diritto (costituzionale) di fare politica e di dire la propria.
Eppure siamo qui, un drappello di giornalisti, di compagne e di compagni, con spirito militante e con la voglia, non estinta, di continuare ad offrire un’informazione e un punto di vista diversi, mentre una pesante cappa di piombo uniforma i messaggi che vengono propinati ad una sempre più addomesticata e meno reattiva opinione pubblica.
Tuttavia, anche il giornale on-line costa. Molto molto meno di quello di carta, ma costa. E al partito, nelle condizioni date, non è ragionevole chiedere nulla.
Per questa semplice ma inesorabile ragione, il giornale è leggibile soltanto dagli abbonati, salvo la home page e la prima pagina in formato pdf, concepita sul modello classico di Liberazione, scaricabile e stampabile da chiunque ai fini della diffusione e dell’affissione nelle bacheche.
Circa un migliaio di lettori, lettrici, compagne e compagni hanno sino ad oggi risposto alla chiamata abbonandosi, chi per un anno (50 euro), chi per un semestre (30 euro): troppo pochi per potere resistere ancora, sia pure con strutture e ranghi così fortemente ridotti.
Eppure, il prodotto che abbiamo confezionato e stiamo via via cercando di migliorare è apprezzato e ne riceviamo quotidiana testimonianza. Molte strutture (federazioni, circoli) collaborano inviandoci interventi, commenti, articoli che raccontano iniziative e buone pratiche di cui esse stesse sono protagoniste nei territori. C’è chi lo fa sistematicamente e chi saltuariamente. Poi c’è chi non lo fa affatto e, francamente, vi è da chiedersene la ragione, perché i comunisti, proprio in quanto tali, non godono di buona stampa ed ognuno può constatare quanto pesi l’ostracismo mediatico cui siamo sottoposti.
Ebbene, si sappia che non abbiamo molto agio davanti a noi. Anzi, a ben vedere, il tempo è già scaduto. Se entro un mese non saremo stati in grado di aumentare significativamente il numero degli abbonamenti saremo costretti a gettare la spugna.
Non sarebbe un bel segnale, nel mentre il partito – dopo l’ultima debacle elettorale – sta provando, con molta fatica ma con altrettanto impegno, a ridefinire le coordinate della propria strategia, a rinnovare la propria struttura, i metodi di lavoro, ad elevare la qualità dei propri gruppi dirigenti, a rafforzare il rapporto fra questi e i movimenti che ancora innervano una società civile sfibrata da una partitocrazia sorda e soffocante.
Quando si parla – non sempre con cognizione di causa e quindi con scarsa efficacia – di “cura del partito”, si dovrebbe por mente al fatto che uno degli aspetti cruciali di questo cimento è proprio la comunicazione (di idee, progetti, esperienze, pratiche sociali e politiche, ecc.), leva essenziale nella vita di un partito politico e, primariamente, di un partito comunista.
Di questo, del resto, sono stati sempre persuasi i grandi rivoluzionari che hanno costruito, qui e altrove, la storia del movimento operaio. Essi hanno sempre dedicato alla questione della formazione della coscienza critica delle masse un’attenzione quasi maniacale.
Se proprio noi continuassimo a trascurare questo “fronte” del lavoro politico pregiudicheremmo seriamente non soltanto la vita del giornale, ma le stesse chance di ripresa di Rifondazione e, con essa, di una vera sinistra in Italia.
Dino Greco, Romina Velchi
in data:29/05/2013

venerdì 24 maggio 2013

IPSE DIXIT

Accoglienza

 
La strada mi arricchisce, continuamente. Lì avvengono gli incontri più significativi, l'incontro della vera sofferenza, l'incontro di chi però ha ancora tanta speranza e allora guarda, attende. Per la strada nascono le alternative, nasce il voler conquistare dei diritti. A me l'unico titolo che piace è: "prete di strada". Tanto è vero che quando vado ai dibattiti e si presentano i relatori delle università di Bologna, Genova, Palo Alto, Cambridge... A me piace quando dicono: "don Andrea Gallo, dell'università della strada". È difficile tener sempre la porta aperta, non è facile. C'è anche la paura, ma noi non rimuoviamo la paura, la affrontiamo. Quante volte in questo ufficio mi han puntato una rivoltella... Ma solo attraverso l'accoglienza, attraverso l'ascolto, attraverso la disponibilità, la generosità, si supera la paura. Io vedo che, quando allargo le braccia, i muri cadono. Accoglienza vuol dire costruire dei ponti e non dei muri. L'unico mio rimpianto è che sono stato a volte troppo dolce con tutte le istituzioni, con tutti i poteri.
Don Gallo
in data:23/05/2013

giovedì 23 maggio 2013

CIAO DON GALLO!!!!

Stay foolish, stay hungry. Cioè Don Gallo

 
 Quell'autentico "pazzo" di Don Gallo. Da prete prete ne ha combinate così tante che ha finito per diventare, se non la pecorella smarrita, la pecora nera del cardinal Siri. Che infatti lo mise al bando, lo relegò in cattività, gli tolse il posto.
Quel grande "pazzo" di Don Gallo che, da prete prete, osava dire cose inaudite. Tipo: «Quando dò da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista». Tipo: «Alla fine, Dio non ci chiederà se siamo stati credenti, ma se siamo stati credibili». Quell'incredibile "pazzo" di don Gallo che osava richiamarsi, nelle parole e nei fatti - figurarsi, nel 2000! - a quell'altro fantastico "pazzo" di don Milani, quel rivoluzionario della "Lettera a una professoressa".
Un "pazzo" tale, che da "pazzo" se ne è andato. Felice di esserlo, stay foolish stay hungry: ciao Don Gallo, noi ti diciamo grazie. Don Gallo, ma anche "compagno" don Gallo: «Compagno, questa parola mi piace», diceva. Don Gallo, con la sua faccia scavata, il suo sguardo severo, l'eterno mezzo toscano tra le labbra, il cappello a larghe tese da anarchico.
«Angelicamente anarchico», si proclamava infatti lui (è anche il titolo di un libro che ha scritto nel 2005 ). Anarchico fino in fondo, irriducibile ribelle. Era il marzo 2013, e lui è sempre lì a dire le sue parole-contro, in quella città del Nord che è quasi una piccola capitale leghista. «Avevo 17 anni e un mese quando è nata la democrazia in Italia e adesso che sono vecchio non la voglio vedere morire». Lì che canta e fa cantare "Bella Ciao", per poi passare in rassegna con lucida veemenza la "scandalosa" situazione politica che ha sott'occhio. «Oggi abbiamo un nuovo governo, ma dov'è il popolo nel nuovo governo?». Il popolo non c'è, perché, lo vedete, «un governo c'è, ma da sempre è quello delle banche».
Ancorché prete, pericolosissimo. E infatti hanno tentato in vari modi di fargliela pagare, a quel «prete che si è scoperto uomo».
Andrea Gallo nasce a Genova il 18 Luglio 1928, diventa sacerdote nel 1959, e l'anno dopo è già cappellano sulla Garaventa, la nave-scuola dove vanno a finire «i piccoli delinquenti». È un riformatorio per minori, la Garaventa; ma quando arriva quel prete nuovo che si è formato tra i salesiani e che, oltre don Bosco, ammira e segue il don Milani dei poveri e degli emarginati, lì dentro cambia tutto. Spariscono "i piccoli delinquenti", i ragazzi ridiventano ragazzi, magari difficili, ma sempre ragazzi; quel prete "pazzo" bandisce ogni forma di coercizione, pena e repressione; lui adotta la rieducazione basata sulla libertà, la generosità, la comprensione. L'umanità. Quei "piccoli delinquenti" ai quali lui consente di uscire, persino di andare al cinema, di autogestirsi, persino di sentirsi rispettati.
È il primo scandalo di don Gallo. I suoi superiori si seccano, dopo tre anni lo rimuovono dall'incarico senza fornirgli spiegazioni; e lui lascia i salesiani: «La congregazione - dirà poi - si era istituzionalizzata e mi impediva di vivere pienamente la vocazione sacerdotale».
È quindi inviato a Capraia e nominato cappellano del carcere; e due mesi dopo viene destinato in qualità di vice parroco alla chiesa del Carmine, a Genova; dove rimarrà fino al 1970.
Ma anche da lì quell'anomalo di don Gallo viene "trasferito". Per ordine diretto del cardinal Siri. La sua predicazione è un altro scandalo, il cardinale è furioso. «I suoi sermoni - è l'accusa - non sono religiosi ma politici, non cristiani ma comunisti». E per di più quel prete sovversivo non si limita solo a predicare; addirittura mette in pratica quello che dice. Inaudito, la sua parrocchia, oltre che la casa di Dio, diventa la casa di tutti, poveri, emarginati, neri, sessantottini, militanti di sinistra inclusi. Inaudito. Arriva persino, in una sua scandalosissima predica, a prendere le parti di quei reprobi scoperti a frequentare una fumeria di hashish. Eegregi sepolcri imbiancati, osa dire!, guardate che ci sono in circolo droghe ben peggiori di cui nessuno parla mai. Per esempio «quelle del linguaggio, grazie alle quali un ragazzo può diventare "inadatto agli studi" se figlio di povera gente; oppure un bombardamento di popolazioni inermi può diventare "azione a difesa della libertà"».
È il colmo, don Gallo deve andarsene. Quel prete che non piace a Siri piace però moltissimo ai suoi parrocchiani, ai cittadini, alla gente; ci sono proteste, cortei e striscioni, ma la Curia è inamovibile, don Gallo deve andarsene. E così è, anche perché lui è testardo e persevera (diabolicamente) a proclamare sempre quello: e cioè che bisogna lavorare e combattere per i poveri, per gli ultimi, «per quella gente che non conta mai». Insomma, è chiaro, quel don Gallo «è oramai sfacciatamente comunista».
Fuori. Se ne deve andare. E comincia la terza vita di don Gallo. Qualche tempo dopo infatti viene accolto dal parroco di San Benedetto al Porto, don Federico Rebora, e insieme a un piccolo gruppo dà vita ad una comunità di base, la Comunità di San Benedetto al Porto, Genova. E nella "sua" comunità ne combina più di Carlo in Francia.
In segno di protesta contro la stupida legge, si prende lo sfizio di mettersi a fumare uno spinello in pubblico, addirittura all'interno del Palazzo comunale, facendosi appioppare la debita sanzione. È amico degli scandalosi Vasco Rossi, Piero Pelù, Modena City Ramblers; con tutta la sua Comunità scende in campo a sostegno del Movimento No Dal Molin, mai più basi militari Usa in Italia, e sempre manterrà tale impegno. È coi 130 mila nel corteo del 2007; ed è la sua Comunità che nel 2009, insieme ad altri 540, decide di acquistare il terreno dove ha sede il Presidio Permanente No Dal Molin (a scanso di brutti tiri).
Quello scandaloso don Gallo; è sempre lui che partecipa al primo V-day di Grillo; nonché al Pride Gay di Genova; e perfino alla presentazione del primo Calendario Trans della storia italiana.
Sempre lui che predica in favore di Marco Doria a sindaco di Genova, nonché di Vendola nelle primarie Pd. Sempre lui che - terribile! - precisamente il giorno 8 dicembre 2012, terminata la celebrazione della messa per il 42º anniversario della Comunità di San Benedetto al Porto, all'interno della chiesa medesima e insieme ai fedeli, si mette a cantare "Bella ciao" e, come se non bastasse, si slaccia il fazzoletto rosso che ha al collo e lo fa sventolare! Non ci crederete, ma ne vien fuori un video che fa il giro dell'Italia, un gran successo.
Per quanto “voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti”. Erano le parole di una canzone di De Andrè che gli piacevano moltissimo. E infatti sono le stesse che aprono “Storia di un precariato”, lo spettacolo messo in scena dalla band reggiana, i Desamistade, a cui lui partecipa. Storia e vita di un precario, uno dei nuovi esclusi, uno dei "suoi" ragazzi, vittime di quel «dramma generazionale», di quel «disordine dei sogni», che lui, il prete "pazzo", non smetterà mai di denunciare.
"Come un cane in Chiesa. Il Vangelo respira solo nelle strade" (Milano, Piemme, 2012), è uno dei suoi ultimi libri, ne ha scritti ben 19. Raccontò se stesso alla quinta edizione del Parma Poesia Festival: «Sono un prete da marciapiede».
Vita di un prete "pazzo", tutta «in direzione ostinata e contraria». Bellissima vita, don Gallo.
Maria R. Calderoni
in data:22/05/2013

giovedì 9 maggio 2013

9 MAGGIO - NOI LO RICORDIAMO COSI'!!!!

Educare alla bellezza

 
Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un'arma contro la rassegnazione, la paura e l'omertà. All'esistenza di orrendi palazzi sorti all'improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine sulle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. E' per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l'abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore.
Peppino impastato