giovedì 7 marzo 2013

Due parole in libertà ai compagni e alle compagn


Per non ripiegare nel conformismo

Quel formidabile pedagogista che è stato Gianni Rodari, autore di indimenticabili favole per bambini e di saggi capaci di illuminare tutto l'universo infantile, finse - per parafrasare la celebre chiosa di Jean Jacques Rousseau sul Principe di Machiavelli - di parlare (soltanto) ai bimbi per dare in realtà grandi lezioni agli adulti. E, in particolare, a coloro, fra gli adulti, che si battono, o dichiarano di battersi, per cambiare il mondo.
Rodari, nel suo Grammatica della fantasia (scritto nel lontano 1973, per Einaudi) descrive le qualità intellettuali e morali che fanno di un individuo uno spirito libero, i tratti inconfondibili - aggiungerei io - del rivoluzionario, vale a dire la capacità di non rendersi prigioniero della realtà data, di evitare che essa agisca come una camicia di forza ed eserciti una funzione disciplinare sui nostri pensieri; la capacità, insomma, di sventare il rischio sempre in agguato del conformismo, dell'acquiescenza acritica ai luoghi comuni.
"Creatività - ricordava Rodari - è sinonimo di 'pensiero divergente', cioè capace di rompere continuamente gli schemi dell'esperienza. E' 'creativa' una mente sempre al lavoro, sempre a far domande, a scoprire problemi dove gli altri trovano risposte soddisfacenti, a suo agio nelle situazioni fluide, nelle quali gli altri fiutano solo pericoli, capace di giudizi autonomi e indipendenti, che rifiuta il codificato, che rimanipola oggetti e concetti senza lasciarsi inibire dai conformismi".
Ogni comunista degno di questo nome dovrebbe saper coltivare queste virtù con scrupolo certosino. Soprattutto in questi tempi grami, in cui pare di brancolare nel buio e dove non pochi - inclini alle mode o succubi di fragili convinzioni - sono tentati di saltare sul carro dei vincitori o, tutt'al più, di cercare approdi politici più rassicuranti.
Un adagio molto popolare negli States recita che "non c'è cosa più di successo del successo". Ne vediamo una pratica applicazione anche qui da noi, quando un importante esito elettorale - sospinto da potenti media - produce un effetto-contagio a vantaggio delle forze che quel risultato lusinghiero hanno conseguito. Simmetricamente, nella testa degli sconfitti subentra una cupa demoralizzazione, il sospetto implacabile di essere in errore. Ognuno diventa portatore 'insano' di depressione. E scatta, come una molla, la ricerca di un luogo più tranquillo che scacci, a buon mercato, la paura, insopportabile, dell'isolamento. Del resto, è sempre più facile stare in maggioranza che in minoranza. Più difficile è mantenere fermo il timone, non per chiudersi in autistiche (e patetiche) certezze ma, al contrario, per mettersi in discussione, senza ipocrisie, per imparare dalle proprie sconfitte, senza abiure, repentine conversioni, o "fughe nell'opposto", come le chiamava Cesare Musatti per spiegare la risposta fallace con cui si prova ad esorcizzare uno scacco. E per continuare nell'opera che in ogni tempo è toccata a tutti gli eretici, quella di nuotare controcorrente, per smontare ideologismi spacciati per inossidabili verità.
E' però l'operosità intelligente, che deve venire in soccorso. Forse, negli sconfitti, e noi lo siamo certamente stati, è proprio questo che sin qui è mancato, ma di cui si aveva (e forse ancora si ha) scarsa o relativa consapevolezza. E' il limite di tutti i fideismi. "Si crede -  scriveva Gramsci in una splendida pagina dei Quaderni - nella volontà di credere, come condizione della vittoria". Ma questo buttare il cuore oltre l'ostacolo rivela "una tendenza di natura oppiacea: è infatti proprio dei deboli abbandonarsi alla fantasticheria, sognare ad occhi aperti che i propri desideri sono la realtà (...), vedere le cose oleograficamente, nei momenti diculminanti di alta epicità". Nella realtà - continua Gramsci - da dovunque si cominci ad operare "le difficoltà appaiono subito gravi, perché non si era mai pensato concretamente ad esse; e siccome bisogna sempre cominciare da piccole cose (per lo più le grandi cose sono un insieme di piccole cose) la 'piccola cosa' viene a sdegno", Per cui "è meglio continuare a sognare e rimandare l'azione al momento della 'grande cosa' ".
Dovremo molto attentamente riflettere su ciò che siamo davvero, come singoli e come partito, se vogliamo provare a costruire una strategia convincente ed una macchina capace di affermarla nella realtà.
Dino Greco
in data:07/03/2013

Nessun commento:

Posta un commento