La Lista-Tsipras, i comunisti e il lavoro che nessuno farà al nostro posto
Ora l'Istat rileva che i contratti in attesa di rinnovo a
gennaio sono ben 51 e riguardano circa 8,5 milioni di dipendenti,
corrispondenti al 66,2% del totale, la quota più alta dal gennaio del
2008. In pratica due lavoratori su tre stanno aspettando. La crisi ha
dunque anche questo volto e, per dirla com'è, rivela la sua natura e il
suo intimo scopo, perseguito con cinica determinazione dai fautori
dell'austerity continentale: comprimere i salari, abbattere le tutele
sindacali, individuali e collettive, estinguere progressivamente, ma da
qualche tempo a tappe forzate, il sistema di protezione sociale,
trasformare i diritti di cittadinanza (lavoro, istruzione, sanità,
previdenza, assistenza), da obblighi precipui dello Stato a merci
destinate esclusivamente ad una clientela solvibile, a privilegiati
paganti.
Perché questa colossale operazione di redistribuzione di ricchezza si
realizzi occorre che le classi dominanti dispongano di un potere di
deterrenza formidabile nei confronti delle classi subalterne. Quest'arma
letale, oggi come sempre, è la disoccupazione che aumenta ogni giorno
in ogni classe di età, ma specialmente fra i giovani e nel Mezzogiorno.
Gli architetti dell'Europa consegnata alle banche e irretita
dall'ideologia monetarista raccontano che la rigidità contabile (dal
patto di Maastricht al Fiscal compact, passando per il vincolo del
pareggio di bilancio trasformato in dettato costituzionale) produce
benefici per tutti. In realtà essa è lo strumento attraverso il quale
annichilire la spesa pubblica sociale e disintegrare, quasi in forza di
una legge economica incontestabile, ferrea come una legge di natura, il
sistema solidaristico di garanzie sociali costruito dalle lotte operaie
nei trent'anni seguiti alla sconfitta del fascismo e del nazismo.
Racconta, ancora, l'oligarchia finanziaria che regna sull'Europa, che la
crisi è il frutto di una caduta della domanda, mentre è vero l'esatto
opposto: sono la negazione dei bisogni sociali, la contrazione forzosa
degli investimenti, il cappio imposto alla programmazione e
all'intervento della mano pubblica, la concentrazione della ricchezza
nelle mani di un vorace ceto proprietario che patrimonializza e rende
improduttivi gli immensi capitali accumulati, a generare la crisi
sistemica, la caduta della domanda aggregata che strangola i popoli
d'Europa. Il capitale, nell'epoca della presente inaudita
finanziarizzazione dell'economia, sta volgendo la propria vocazione
predatoria contro le forze produttive e contro ogni sopravvivenza delle
democrazie costituzionali.
Il dramma condiviso dal proletariato europeo è che gran parte delle
forze politiche, tanto quelle conservatrici e reazionarie, quanto quelle
di antica (e ormai tramontata) estrazione socialdemocratica, si muovono
nell'alveo della medesima ideologia liberista. I contorni politici sono
sempre più labili, le identità si confondono, le strategie si
intrecciano sino a divenire del tutto intercambiabili.
Il caso italiano è fra i più emblematici. Ieri abbiamo ricordato come
Matteo Renzi, l'enfant prodige della politica italiana, il nuovo messia
assurto alla guida (carismatica?) del Pd ed ora del Paese, stia portando
a compimento la definitiva e irreversibile trasmutazione del partito di
cui è divenuto padrone, ormai approdato alle rive del mercatismo
integrale. La sua intervista al “Foglio” dell’8 giugno 2012 ne
rappresenta il manifesto politico più eloquente: “Dimostreremo che non è
vero che l’Italia e l’Europa sono state distrutte dal liberismo - aveva
detto - ma che al contrario il liberismo è un concetto di sinistra, e
che le idee degli Zingales, degli Ichino e dei Blair non possono essere
dei tratti marginali dell’identità del nostro partito, ma ne devono
essere il cuore”.
Questa è la situazione in cui, mutatis mutandis, versa l'intera
Europa nella quale, tuttavia, qualcosa faticosamente si muove a
sinistra. L'Italia è certo uno dei punti più arretrati, scontando essa
gli effetti duraturi di una delle più potenti (e devastanti) abiure
culturali, politiche ed ideologiche della sinistra storica da cui essa
fatica a riprendersi.
Anche qui da noi tuttavia, si avvertono segni, tenui finché si vuole, ma
comunque reali, di una consapevolezza avvertita, magari confusamente,
in strati sociali non più marginali, che così non si può andare avanti.
Ora arriva l'appuntamento europeo ad offrirci una chance: non per
confidare in esso come nell'ennesimo evento salvifico, ma per
connetterci al movimento di una sinistra europea dai tratti nitidamente
antiliberisti. L'aggregazione che si sta formando intorno alla Lista-
Tsipras è multiforme e non priva di interne evidenti contraddizioni. Ma
occorre, più che mai ora, guardare alla sostanza delle cose, a come ciò
che sta accadendo può fare muovere le cose nella giusta direzione.
Scriveva Lenin, nel 1905, nel pieno della fase democratico-borghese
della rivoluzione russa, che "la rivoluzione socialista in Europa non
può essere nient'altro che l'esplosione della lotta di massa di tutti
gli oppressi e di tutti i malcontenti. Una parte della piccola borghesia
e degli operai arretrati vi parteciperanno inevitabilmente (senza tale
partecipazione non è possibile una lotta di massa, non è possibile
nessuna lotta rivoluzionaria); e porteranno nel movimento, non meno
inevitabilmente, i loro pregiudizi, le loro fantasie reazionarie, le
loro debolezze e i loro errori. Ma oggettivamente essi attaccheranno il
capitale, e l'avanguardia cosciente della rivoluzione, il proletariato
avanzato, esprimendo questa verità oggettiva della lotta di massa varia e
disparata, variopinta ed esteriormente frazionata, potrà unificarla e
dirigerla, conquistare il potere (...). Colui che attende una
rivoluzione sociale pura non la vedrà mai; egli è un rivoluzionario a
parole che non capisce cos'è la vera rivoluzione".
Evidentemente, noi non stiamo vivendo una fase "rivoluzionaria", ma il
metodo proposto da Lenin, l'atteggiamento da tenere, la lotta per
l'egemonia in un territorio minato, parlano anche a noi.
E sarà nostro compito fare germinare - dal pur contraddittorio concorso
di forze e di soggettività che stanno dando vita alla coalizione contro
l'austerity e contro l'oligarchia finanziaria che tiene in pugno
l'Europa - qualcosa di profondamente nuovo anche in Italia. Occorrerà
tempo, molto lavoro, molte lotte ed altri passi in avanti. Ma le
scorciatoie sono le illusioni dei pigri, non sono roba per i comunisti.
Dino Greco
in data:26/02/2014