mercoledì 27 novembre 2013

CONFERENZA SUL TEMA: L'UOMO NATURALMENTE! UNA RIFLESSIONE FILOSOFICA SUL RAPPORTO UOMO-NATURA

GIOVEDI 5 DICEMBRE 2013 - ORE 20.30

PRESSO LA SALA LAMA DELLA CAMERA DEL LAVORO DI DARFO B.T.
VIA SALETTI 14

IL CIRCOLO CULTURALE FILIPPO BUONARROTI IN COLLABORAZIONE CON LA 
CGIL DI VALLECAMONICA 
ORGANIZZA UNA SERATA DI APPROFONDIMENTO 
SUL RAPPORTO UOMO - NATURA

INTERVERRANNO:
PER IL CIRCOLO BUONARROTI GIOVANNI BONASSI E AUGUSTO MARTELLUCCI
PER LA CGIL VALLECAMONICA IL SEGRETARIO GENERALE DANIELE GAZZOLI

E' UNA SERATA MOLTO INTERESSANTE E DI RIFLESSIONE "ALTA" CHE CI INTERROGA SULLA QUALITA' DELLA NOSTRA VITA E DELL'AMBIENTE CHE CI CIRCONDA!

PER QUESTE RAGIONI, NON MANCATE!

VI ASPETTIAMO NUMEROSI

giovedì 21 novembre 2013

Il grande affare dei disastri




Il grande affare dei disastri

di Tonino Perna – il manifesto
Nel periodo 1901-1951 si sono registrate in Italia sei alluvioni, di cui le più disastrose nel 1951, Polesine e Calabria, con 184 vittime. Nel periodo 1998-2008, a partire dalla tragedia della Val di Sarno (159 vittime), si erano registrate sette alluvioni devastanti. Negli ultimi, soli, quattro anni abbiamo avuto nove alluvioni disastrose generate da piogge intense e «bombe d’acqua».
Prima Giampilieri (Messina), poi il Veneto e le Marche, Genova e le Cinque Terre, la Lumigiana e il Vibonese, Barcellona (Me) e Massa Carrara, Taranto e ora la Sardegna: in quattro anni un susseguirsi di disastri, con morti e feriti, a cui segue il solito rito politico. Ci sono quelli che in malafede denunciano l’eccezionalità dell’evento naturale e piangono sui morti, feriti e dispersi. Gli altri denunciano la scarsa cura del territorio, la speculazione edilizia, il mancato preallarme della Protezione Civile. Dopo un paio di giorni, di accesi dibattiti e talk show televisivi, la vita politica e mediatica si riprende il suo spazio. La questione ambientale, i rischi a cui siamo esposti, la prevenzione di cui tutti parlano ma nessuno la fa, scompaiono dall’orizzonte. C’è la crisi, i tagli lineari e non, la decadenza del Cavaliere, il Nuovo Centro Destra e le primarie del Pd, e poi ancora le Province che si aboliscono e cambiano nome, le contro-Riforme che vengono annunciate, Bruxelles che ci boccia e ci chiede di fare gli esami di riparazione, e via dicendo. Fino alla prossima alluvione, alla prossima bomba d’acqua, che metterà in ginocchio un altro pezzo dell’ex Bel Paese. C’è qualcosa di profondo che non va e di cui bisognerebbe prendere coscienza.
Da trent’anni si discute del rischio idrogeologico nel nostro paese, ma le istituzioni non fanno niente per prevenirlo. Eppure le risorse economiche ci sarebbero, ma non vengono spese come ricordava ieri il ministro Carlo Trigilia. Tanti hanno scritto che prevenire costerebbe molto meno che ricostruire e riparare i danni post-catastrofe.
Giusto, ma solo in una visione ideale, che non tiene conto del tasso di profitto e dell’incentivo a investire. La prevenzione richiederebbe interventi capillari sul territorio, opere di ingegneria naturalistica e una pluralità di tecnici, piccole e medie imprese specializzate, operai idraulico-forestali che finalmente verrebbero utilizzati per la funzione per cui sono stati assunti. Un meccanismo molto complesso e poco conveniente per chi gestisce il territorio (a cominciare dalle Regioni). Invece, l’intervento post-catastrofe è un affare dal punto di vista economico e politico, fa girare molti più soldi, più tangenti, più extraprofitti, allarga le reti clientelari della classe politica locale e nazionale. La dichiarazione dello «stato di emergenza» è un grande business. Un esempio per tutti: il terremoto dell’Aquila. Chi non ricorda le risate notturne dei due imprenditori appena appresa la notizia della catastrofe? Ma, pochi sanno che, grazie al terremoto, nel triennio 2010-2013 l’Abruzzo è la sola regione italiana in cui sono aumentati fatturato e occupazione nell’edilizia, che sono letteralmente crollati nel resto d’Italia. D’altra parte, lo stesso meccanismo vale per altri disastri che si ripetono, d’estate, ogni anno: gli incendi.
Chi scrive dopo aver sperimentato con successo un metodo semplice, basato sul coinvolgimento delle associazioni ambientaliste e cooperative sociali, un metodo preso in considerazione anche a Bruxelles, ha visto prevalere l’uso dell’affitto di elicotteri da parte delle Regioni. Anziché prevenire a terra con sistemi capillari d’intervento, si è preferito affidare ai privati la gestione dall’alto della lotta agli incendi, con elicotteri che costano 3.500 euro l’ora. La Sma spa è, tra gli altri, una società che ha stipulato contratti milionari con diverse regioni meridionali. Complimenti.
Se queste sono le coordinate economico-politiche dentro le quali ci hanno costretto a vivere da diversi decenni, oggi la situazione si è ulteriormente complicata per via dei cambiamenti climatici. Siamo entrati nell’era degli «eventi estremi» meteorologici con cui dobbiamo fare i conti. Che cosa significa? Significa che quelli che un tempo potevano essere classificati come «eventi eccezionali» stanno diventano sempre più frequenti ed intensi. Vale a dire che uragani, tifoni, cicloni, bombe d’acqua, trombe d’aria, stanno crescendo, in tutto il mondo, come è testimoniato da una vasta letteratura scientifica. Questo perché l’ecosistema è entrato in una fase di fibrillazione, in una fase di «oscillazioni giganti» come le definiva il Nobel Prigogine, che caratterizzano un sistema di fluidi quando si entra in una fase di «squilibrio permanente». Nel caso del clima questo squilibrio è stato causato, senza ormai alcun dubbio, dalla straordinaria accelerazione nella produzione di CO2 , che dalla metà del secolo scorso è cresciuta in maniera iperbolica. Anche se improvvisamente riducessimo della 20/30 per cento la produzione di gas serra (assolutamente auspicabile quanto improbabile) nel medio-lungo periodo dovremmo comunque convivere con gli «eventi estremi», che diventeranno sempre più disastrosi nella misura in cui continueremo, ai ritmi attuali, a immettere CO2 nell’atmosfera.
Vivere nell’era degli «eventi estremi» significa ripensare il nostro modo di costruire, di canalizzare le acque, di gestire i fiumi e le fiumare, le coste, e naturalmente i sistemi urbani. Quando si parla di dissesto idrogeologico spesso ci si dimentica del dissesto urbano e si pensa solo a colline e montagne. Le nostre città, nessuna esclusa, non sono oggi in grado di reggere 400 mm di pioggia in ventiquattro ore, come è accaduto a Olbia. Se fosse successo in una grande città i morti sarebbero stati centinaia, i danni si sarebbero contati in miliardi di euro.
Abbiamo pertanto bisogno di elaborare e implementare un piano di sicurezza territoriale all’altezza della sfida che il cambiamento climatico ci impone. Sicurezza è una categoria che è stata finora usata nei confronti della microcriminalità, dell’arrivo dei migranti, delle minacce del terrorismo. Il paese leader nelle politiche di sicurezza sono gli Usa dove negli ultimi decenni governo e sindaci delle metropoli, in nome della «sicurezza nazionale e locale», si sono impegnati nella repressione della microcriminalità, dei migranti, del terrorismo. Peccato che non si siano accorti che tifoni, cicloni e uragani, crescono in frequenza e intensità ogni anno che passa e stanno distruggendo vaste aree in tutti gli States, dove si continuano a costruire casette unifamiliari in legno e malta, che vengono letteralmente spazzati via.
Dobbiamo, pertanto, recuperare politicamente la categoria della «sicurezza», finora regalata alla destra in tutto il mondo occidentale. Sicurezza dei territori non solo di fronte agli «eventi estremi», ma anche come opera di risanamento dei terreni inquinati (Campania docet), delle acque malsane, dell’aria che è diventata irrespirabile in tante città. Non lo possiamo fare da soli, abbiamo bisogno di una grande alleanza a livello europeo per cambiare gli orizzonti della politica di austerity di breve respiro. Lo dobbiamo fare insieme a tutte quelle forze sociali e politiche che nella Ue si battono per un altro modo di produzione, per un altro modello sociale, per una vera qualità della vita come obiettivo prioritario. È la più grande sfida del nostro tempo.

mercoledì 20 novembre 2013

Cancellieri: va in scena l'ennesimo capitombolo del Pd

POLITICA

Cancellieri: va in scena l'ennesimo capitombolo del Pd

Letta ha ieri sera aperto l'assemblea dei parlamentari democrat drammatizzando il caso Cancellieri: "Votare la sfiducia al ministro - ha detto - significa fare il gioco del M5S e, soprattutto, sfiduciare, insieme al guardasigilli, l'intero governo". In sostanza, il presidente del Consiglio ha preso in ostaggio gli interi gruppi parlamentari del suo partito, dicendo chiaro e tondo che il tema posto è la continuità dell'esecutivo da lui presieduto. Su quello si vota. "So che la pensiamo diversamente - ha aggiunto Letta - ma vi chiedo un atto di responsabilità come comunità (sic!, ndr) perché l'unità del Pd è l'unico punto di tenuta del sistema politico italiano". Il merito, vale a dire la gravissima compromissione di Annamaria Cancellieri con i Ligresti, le circostanze che hanno via via aggravato la sua posizione, la plateale incompatibilità con il ruolo ricoperto dal ministro, Per Letta non contano assolutamente nulla. Tutti mugugnano, molti recalcitrano, ma alla fine abbozzano. Ora andrà in scena il gioco delle parti, con interventi in aula nei quali i diversi tronconi del Pd lasceranno agli atti della discussione il proprio dissenso o i propri distinguo. Ma poi si adegueranno alla disciplina di partito imposta loro da Letta, mallevadore Giorgio Napolitano. Una follia autolesionista che fa periclitare non soltanto il Pd, ma la democrazia e la moralità pubblica, violentata dalla ragion di Stato ed estranea ad ogni senso di verità e di giustizia.
Nonostante ciò, dal Pd continuano ad arrivare ugualmente le spinte per le dimissioni del ministro. E Paolo Gentiloni fa sapere di aver chiesto direttamente a Letta - assieme a Gianni Cuperlo, Pippo Civati e a Michela Marzano - di adoperarsi nei prossimi giorni affinché la Cancellieri si dimetta da sé. Figuriamoci...Prima dell'avvio dei lavori in aula, comunque, il Guardasigilli ha avuto un colloquio con il premier Letta e con il ministro dei Rapporti con il parlamento, Dario Franceschini. Acqua fresca, ipocritamente agitata, nello stagno doroteo in cui è impantanato il Pd, nel tantativo di qualche pezzo della nomenclatura di salvarsi la coscienza. Intanto Cancellieri, che di dimettersi non ha la minima intenzione,  continuerà a fare il ministro della Giustizia.
Alle 10.30 è iniziata la discussione generale, quindi prenderà la parola il Guardasigilli. Seguiranno le dichiarazioni di voto e infine, intorno alle 15, è previsto il voto della Camera sulla mozione di sfiducia.
D.G.
in data:20/11/2013

lunedì 18 novembre 2013

PUNTI DI VISTA.....di Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano)

Svendola

Ci sono tanti modi per finire una carriera politica. Quello che la sorte ha riservato a Nichi Vendola è uno dei peggiori, proprio perché Nichi Vendola non era tra i politici peggiori. Aveva iniziato bene, con un impegno sincero contro le mafie e l’illegalità. Aveva pagato dei prezzi, ancor più cari di quelli che si pagano di solito mettendosi contro certi poteri, perché faceva politica da gay dichiarato in un paese sostanzialmente omofobo e da uomo di estrema sinistra in una regione sostanzialmente di destra. Ancora nel 2005, quando vinse per la prima volta le primarie del centrosinistra e poi le elezioni regionali in Puglia, attirava vastissimi consensi e altrettanti entusiasmi e speranze. E forse li meritava davvero.
Poi però è accaduto qualcosa: forse il potere gli ha dato alla testa, forse la coda di paglia dell’ex giovane comunista ha avuto il sopravvento, o forse quel delirio di onnipotenza che talvolta obnubila le menti degli onesti l’ha portato a pensare che ogni compromesso al ribasso gli fosse lecito, perché lui era Nichi Vendola. S’è messo al fianco, come assessore alla Sanità (il più importante di ogni giunta regionale) un personaggio in palese e quasi dichiarato conflitto d’interessi, come Alberto Tedesco. S’è lasciato imporre come vicepresidente un dalemiano come Alberto Frisullo, poi finito nella Bicamerale del sesso di Gianpi Tarantini, a mezzadria con Berlusconi. Ha appaltato al gruppo Marcegaglia l’intero ciclo dei rifiuti, gratificato da imbarazzanti elogi del Sole 24 Ore quando la signora Emma ne era l’editore. (…)
Ha stretto un patto col diavolo del San Raffaele, il famigerato e non compianto don Luigi Verzé, consegnandogli le chiavi di un nuovo ospedale a Taranto da centinaia di milioni. E si è genuflesso dinanzi al potere sconfinato della famiglia Riva, chiudendo un occhio o forse tutti e due sulle stragi dell’Ilva. Il fatto che, come ripete con troppa enfasi, non abbia mai preso un soldo dai Riva (…), non è un’attenuante, anzi un’aggravante. Non c’è una sola ragione plausibile che giustifichi il rapporto di complicità “pappa e ciccia” che emerge dalla telefonata pubblicata sul sito del Fatto fra lui e lo spicciafaccende-tuttofare dei Riva: quell’Archinà che tutti sapevano essere un grande corruttore di politici, giornalisti, funzionari, persino prelati. Un signore che non si faceva scrupoli di mettere le mani addosso ai pochi giornalisti non asserviti.
In quella telefonata gratuitamente volgare, fatta dal governatore per complimentarsi ridacchiando con il faccendiere della bravata contro il cronista importuno, non c’è nulla di istituzionale: nemmeno nel senso più deteriore del termine, nel più vieto luogo comune del politico scafato che deve tener conto dei poteri forti e delle esigenze occupazionali. C’è solo un rapporto ancillare e servile fra l’ex rivoluzionario che si è finalmente seduto a tavola e il potente che a tavola ha sempre seduto e spadroneggia nel vuoto della politica e dei controlli indipendenti, addomesticati a suon di mazzette.
(…) La telefonata con Archinà è peggio di qualunque avviso di garanzia, persino di un’eventuale condanna. Perché offende centinaia di migliaia di elettori che ci avevano creduto, migliaia di vittime dell’Ilva e i pochi politici che hanno pagato prezzi altissimi per combattere quel potere malavitoso. Perché cancella quello che di buono (capirai, in otto anni) è stato fatto in Puglia. Perché diffonde il qualunquismo del “sono tutti uguali”. Perché smaschera la doppia faccia di Nichi. Perché chi ha due facce non ce l’ha più, una faccia.
Marco Travaglio, il fatto Quotidiano, 16 novembre 2013
in data:16/11/2013

venerdì 15 novembre 2013

INTERVISTA AL SEGRETARIO PAOLO FERRERO

Il manifesto, intervista a Ferrero: «E ora autonomi quindi credibili»

di Daniela Prezioni – il manifesto – «Il governo Letta è il secondo tempo di Monti. Una controrivoluzione, una Costituente come nel 45, ma stavolta antidemocratica e neoliberista». Paolo Ferrero e il Prc a congresso: non ripeteremo gli stessi errori, fin qui tutti i fallimenti vengono dal rapporto con il centrosinistra. Cambio del segretario? «Decide il congresso»
«Il governo Letta è il secondo tempo della partita. Sul piano economico e sociale le operazioni pesanti le ha fatte Monti: ha usato la paura per sfondare diritti del lavoro, pensioni, welfare. Letta prosegue e fa leva sulla rassicurazione per azioni di sfondamento sul piano costituzionale. La sua parte è demolire la Carta e introdurre il presidenzialismo». Anche il Prc di Paolo Ferrero affronta, come altri a sinistra, un congresso (dal 6 all’8 dicembre a Perugia). Che segna, nelle intenzioni, una svolta.
Cosa intende per ‘azioni di sfondamento sul piano istituzionale’?
Letta sta modificando l’art. 138, e si darà il tempo di cambiare la Carta. La maggioranza troverà la quadra sul presidenzialismo, che chiamerà semipresidenzialismo. Con il bipolarismo hanno demolito la partecipazione, con il presidenzialismo gestiranno in forme plebiscitarie la crisi della politica.
Parte del Pd è contro il presidenzialismo.
Le larghe intese stanno ridisegnando l’Italia sul piano economico-sociale, dalla spending review al fiscal compact al pareggio del bilancio. Sono una Costituente, come quella del ’45. Solo che quella era democratica e progressista, questa è antidemocratica e neoliberista. Se chiudono la partita sulla Carta, il progetto della P2 è realizzato. L’hanno fatto tutti insieme. Del resto è difficile dire se le proposte sociali di Renzi sono a destra o a sinistra di Berlusconi. Penso ai minijob: la distruzione dell’idea che il lavoro abbia dei diritti. Come in Europa, in Grecia, in Germania, la grande coalizione è la forma di governo nella crisi per avere il consenso per fare porcherie che da solo nessuno potrebbe.
Il piano della P2. Come dice Grillo?
Sì, ma io lo dico da prima.
Renzi, Cuperlo e anche Letta giurano che le larghe intese non si ripeteranno più.
Possibile: una volta che avranno sfondato, riprenderanno il teatro nella forma del presidenzialismo. Renzi o Marina Berlusconi: lo scontro sarà anche feroce, ma le differenze sono insignificanti. Sono diversi sui diritti civili, ma pressoché uguali sulle questioni sociali ed economiche. Hanno sfasciato il frutto della lotta partigiana. Una vera controrivoluzione. E il lavoro sarà nella merda.
Si spieghi.
Questo quadro prevede la disoccupazione e la precarizzazione di massa, la riduzione dei salari e la privatizzazione del welfare.
Contro la ‘controrivoluzione’ lei propone una ‘Syriza italiana’. Ci avete già provato con la Federazione della sinistra e Rivoluzione civile. Non ha funzionato. È diversa?
Propongo un polo di sinistra autonomo e alternativo dal centrosinistra. Molte delle forze di Rivoluzione civile si sono trovate fuori dall’alleanza non per loro scelta. E questo ha pesato. I nostri interlocutori oggi sono, per capirci, l’arco di forze e di pratiche che va dal corteo del 12 ottobre, la “Via maestra”, a quello del 19 sul diritto all’abitare. Propongo una testa un voto: nessun percorso con accordi di vertice, come è stata Rivoluzione civile e la Federazione, due fallimenti. Le europee sono l’occasione di una nuova Internazionale sociale. L’Europa è un terreno chiaro: in alternativa ai socialdemocratici e ai popolari c’è la candidatura a presidente della Commissione di Alexis Tsipras (leader della greca Syriza, ndr).
Niente liste Prc anche alle europee?
Il punto è far partire il processo. Come si chiamerà viene dopo.
Proponete di uscire dall’euro?
Nel Prc c’è chi lo propone. Io propongo la disobbedienza ai trattati.
A congresso un pezzo del Prc chiederà di riaprire il dialogo anche con Sel.
È un punto di differenza, anzi è un’altra linea politica. Per noi bisogna costruire la sinistra fuori dal centrosinistra. Loro invece non propongono l’entrata nel centrosinistra, non dico questo, ma antepongono l’unità a sinistra alla sua collocazione. È un errore. Ci abbiamo già provato, è sempre andata male. È successo con la Federazione: il Pdci voleva aggregarsi al Pd, e ci siamo spaccati. Di più: tutte le scissioni del Prc sono avvenute su questo punto. Si può sbagliare, anch’io ho sbagliato: ma non si può ripetere sempre lo stesso errore.
Vuol dire che la prossima Rifondazione sarà definitivamente selezionata fra quelli che dicono no al centrosinistra?
No, voglio dire che se la proposta di questi compagni si realizzasse torneremmo nelle condizioni della Fds: un disastro. Aggiungo che Sel non mi sembra interessata. Ma non dico che non discuteremo mai più con il Pd. Syriza sfida il Pasok, e anch’io se avessi il 20% e il Pd il 10, sfiderei il Pd. Ma ora non vado a fare il suo tappetino.
Il 20% invece in Italia ce l’ha Grillo.
Grillo inizia a mostrare le sue debolezze. Non è interessato ad essere motore dei movimenti. E evidenzia le contraddizioni sulle proposte per uscire dalla crisi, dove mischia ricette di destra e sinistra. Oggi è un parcheggio di voti. Ma resterà al 20 se non ci sarà una sinistra credibile. E alternativa.
Quindi il Pdci è fuori?
No, purché sia chiaro sul rapporto col Pd.
Il Pd è il vostro spartiacque. Messa così non vi precludete il dialogo con quel vasto popolo di sinistra che oggi vota Pd?
La comunicazione con quel popolo avverrà sui contenuti. Il lavoro è il problema del paese, e il nostro piano per un milione di posti – manutenzione dell’ambiente, del patrimonio artistico e tanto altro – non sarà solo una raccolta di firme ma l’occasione di definire una nuova sinistra. Faremo sul lavoro quello che fanno Paolo Di Vetta (dell’Usb, ndr) e gli altri sul tema della casa. Non si lamentano, praticano soluzioni, occupano.
Non teme una Rifondazione minoritaria?
Rifondazione è piccola. Ma le nostre idee sono maggioritarie.
Perché allora avete pochi voti?
Abbiamo un problema di credibilità. Usciamo da una sconfitta e non basta cambiare posizione politiche. Bisogna ripartire.
Qual è l’errore più grave che si addebita?
Il governo con Prodi. Credevamo di poter cambiare l’indirizzo politico. Non a caso i partiti della sinistra europea, tutti in crescita, non hanno avuto esperienze di governo.
È vero anche che nessuno di quei partiti ha sul curriculum la rottura del primo governo di centrosinistra del paese.
La vicenda del ’98 l’avevamo superata nel 2001, con il movimento di Genova. Poi, con la scelta del governo, abbiamo chiuso le possibilità a quel movimento e piallato la nostra credibilità. Ma non è stato un errore solo nostro. Nelle nostre liste c’erano molti dei centri sociali e della sinistra sociale.
Insomma, la fase del ‘bertinottismo’ di governo è stata un errore.
La mia è un’autocritica. Io ho fatto persino il ministro. Ero considerato il rompipalle, ma oggi l’immagine resta quella.
Questo non pone il tema di un ricambio del leader? Il giovane Tsipras ha svecchiato anche l’immagine della sinistra greca.
Invece Mélanchon, leader del francese Front de gauche, è stato ministro di Jospin. Ho messo la faccia nelle scelte buone, come l’elezione di Pisapia, Orlando e De Magistris, e in quelle cattive. Un dirigente comunista, consapevole che si perde fino a che non si vince, deve innanzitutto capire per correggere. Ci sono compagni e compagne che chiedono un ricambio a partire da me. Contrasto la tesi del capro espiatorio, ed è un successo che nonostante tutto non siamo diventati una setta né una dépendence del migliore offerente. Fare il segretario non è il mio primo problema. Vedremo. deciderà il congresso. Proporrò la gestione unitaria del partito. E il referendum fra gli iscritti su ogni questione importante.

Enrico Letta, il coniglio mannaro


Dopo la luce in fondo al tunnel che Monti ci aveva segnalato senza ottenere molto ascolto, Enrico Letta continua giornalmente a spargere segnali di rassicurazione riguardo al futuro del Paese. La migliore degli ultimi giorni è l’affermazione secondo cui la ripresa è a portata di mano, “anche se i segnali ancora non si vedono”. Il punto è che la ripresa non c’è e sono proprio le politiche fatte sotto dettatura della Merkel da Tremonti, Monti e Letta a impedirla. La compressione della domanda interna prodotta attraverso i tagli della spesa pubblica e l’aumento della disoccupazione e della precarietà, ha prodotto in Italia una vera e propria deflazione.
Non a caso i consumi continuano a calare e l’inflazione non è mai stata così bassa. La stessa riduzione dei tassi d’interesse da parte della Bce non produrrà effetti in Italia per due ragioni: i tassi di interesse che applicano le banche sono altissimi e non hanno più alcun rapporto con il tasso di interesse ufficiale deciso dalla Bce. I tassi di interesse reale quindi non scenderanno. In secondo luogo l’origine di fondo della crisi italiana è provocata proprio dalla caduta dei consumi interni e quindi o si risollevano quelli – con una forte redistribuzione del reddito dall’alto in basso e per questo proponiamo la patrimoniale sulle grandi ricchezze – oppure l’economia non riparte.
La seconda considerazione è che se anche nel prossimo anno il Pil dovesse crescere di qualche decimale di punto, questo non interromperebbe per nulla la crescita della disoccupazione, per il semplice motivo che gli aumenti di produttività delle imprese che dentro la crisi si sono ristrutturate, sono maggiori della possibile lieve crescita. In questo contesto parlare di uscita dalla crisi è quindi una evidente menzogna, una bugia di cui Letta è certamente consapevole. La questione da porsi riguarda allora il perché Letta sparga questi messaggi mielosi e rassicuranti? Salta agli occhi la differenza con il governo Monti che invece faceva del terrore – seminato a piene mani nel corso del suo governo – il suo principale codice comunicativo.
La mia opinione è che questa differenza di atteggiamento e di comunicazione non avvenga per un diverso disegno politico di Letta rispetto a Monti, ma perché Letta sta gestendo il secondo tempo della partita cominciata da Monti. Più precisamente, io penso che Monti ha volutamente spaventato il popolo italiano e ha utilizzato il terrore seminato nelle “fila avversarie” al fine di giustificare tagli draconiani al welfare e porcherie enormi come la manomissione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e l’allungamento infinito dell’età per andare in pensione. Monti ha fatto una applicazione da manuale di quella che Naomi Klein chiama “Shock economy”, il cui primo esperimentatore è stato il golpista Augusto Pinochet, il dittatore cileno. Attraverso il terrore e la benedizione dell’Unione Europea, Monti ha fatto passare provvedimenti che altrimenti non sarebbero mai potuti passare.
Oggi Letta ha un altro compito. Non più tagliare brutalmente – il grosso dei tagli è stato fatto da Monti - ma piuttosto di convincere gli italiani che i tagli sono serviti: abbiamo fatto i sacrifici, ma adesso ci sarà la ripresa. Il primo obiettivo è quindi consolatorio e risarcitorio, fatto con la consueta maestria democristiana. Il secondo obiettivo, più di fondo, è che Letta ha due grandi opere da realizzare per terminare l’azione devastatrice di Monti. La prima è la privatizzazione di tutto quanto è rimasto di pubblico in Italia e la seconda è lo scardinamento della Costituzione italiana, trasformando l’Italia da repubblica parlamentare in una repubblica presidenziale. La rassicurazione lettiana è quindi finalizzata a distogliere il paese dalla gravità degli attacchi che il suo governo sta portando alla democrazia costituzionale ed economica.
Da questo punto di vista il quadro diventa chiaro: Monti ha seminato il terrore per scardinare le conquiste sociali e Letta usa la rassicurazione per far tirare un sospiro di sollievo al paese e poter fare in santa pace la distruzione della Costituzione nata dalla resistenza e svendere i gioielli di famiglia tra cui la parte rimanente di apparato industriale pubblico. Monti e Letta, il terrore e la rassicurazione, sono le due facce della stessa medaglia: la distruzione di quanto di buono era stato fatto in Italia dopo la seconda guerra mondiale in termini di democrazia, diritti sociali e del lavoro, presenza pubblica nell’economia. Letta non meno di Monti – così come i partiti che li appoggiano – sono i protagonisti di una vera e propria restaurazione neoliberista, di un peggioramento strutturale delle condizioni di vita del popolo italiano e della svendita dell’Italia ai poteri forti – economici e finanziari – europei e mondiali. Contro questa vera e propria guerra scatenata contro il popolo italiano occorre ribellarsi.
Paolo Ferrero

giovedì 14 novembre 2013

COMUNICATO URGENTE: CONGRESSI CIRCOLO

RICORDIAMO CHE QUESTA SERA ALLE ORE 20.30 AVRA' LUOGO A CASTRO PRESSO IL CIRCOLO IL CONGRESSO DEL PARTITO PER I COMPAGNI DELL'ALTO SEBINO E VAL DI SCALVE. 
DOMANI INVECE ALLE ORE 15.00 SARA' TENUTO PRESSO LA BIBLIOTECA DI MALEGNO IL CONGRESSO PER I COMPAGNI DELLA VALLECAMONICA!
VISTA LA DELICATEZZA DEL MOMENTO E AL FINE DI APRIRE UNA SERIA DISCUSSIONE SUL NOSTRO FUTURO E DI TUTTA LA SINISTRA DI ALTERNATIVA, CHIEDIAMO A TUTTI GLI ISCRITTI E ANCHE A COLORO CHE NON LO SONO MA CHE NEI VALORI DELLA SINISTRA ITALIANA SI RICONOSCONO DI PARTECIPARE!!!
SIAMO APERTI AL DIBATTITO!!!

domenica 3 novembre 2013

ATTIVO E CONGRESSO DEI CIRCOLI VALLECAMONICA , ALTO SEBINO E VALLE DI SCALVE

In vista del prossimo e ormai imminente Congresso Nazionale i Circoli della Vallecamonica, Alto Sebino  e Valle di Scalve hanno programmato un percorso comune di preparazione.
Il prossimo Venerdi 8 Novembre alle ore 20,30 presso la sede di Castro è stato indetto l'Attivo dei circoli al fine di favorire la divulgazione delle tesi congressuali con i relativi documenti, emendamenti e regolamenti! Per coloro che ancora non avessero aderito sarà possibile inoltre sottoscrivere le tessere per l'anno 2013!
Dopo questa prima fase di approfondimento sono stati previsti (divisi per provincie) i due Congressi territoriali:

VENERDI 15 NOVEMBRE alle ore 20,30 presso la sede di Castro il congresso dei compagni della provincia di bergamo;

SABATO 16 NOVEMBRE alle ore 16,00 presso la sala della biblioteca comunale di Malegno il congresso dei compagni della provincia di brescia;

Ovviamente vista l'importanza del Congresso confidiamo in una massiccia partecipazione di tutti i compagni ed estendiamo l'invito a quanti pur non essendo tesserati vogliano condividere un momento di approfondimento e di discussione politica.