Riemersa per un istante dallo stato di sconfortante
passività che ha ridotto alla paralisi il più grande e (un tempo ormai
lontano) prestigioso sindacato italiano, Susanna Camusso è riuscita a
consegnare a Paolo Griseri (la Repubblica) due “pillole” di inaudita
saggezza: trovare un miliardo per rifinanziare la cassa integrazione “in
deroga” e varare una legislazione premiale per le aziende che assumono.
Tutto qui? Sì, tutto qui. A questo si riduce il pensiero – dell’azione
si è persa ogni pur labile traccia - della segretaria della Cgil. Che
ora brancola nel buio, avendo smarrito ogni autonomia, ogni profilo
progettuale, ogni strategia rivendicativa degna di tal nome, per
investire tutto sulle fortune elettorali e politiche del Partito
democratico. Il quale, da parte sua, non ha mai superato le Colonne
d’Ercole dei patti europei, quelli che subordinano gli interventi
sociali e gli investimenti per lo sviluppo ai vincoli di bilancio alle
politiche di austerity imposte dalla Trojka.
Non è mai avvenuto, neppure negli anni più duri della storia
repubblicana, che i lavoratori avvertissero un senso di abbandono così
totale, che un sindacato in disarmo li lasciasse soli ad affrontare,
ciascuno per sé, il dramma della disoccupazione e una condizione
esistenziale per tanti e tante prossima alla disperazione.
Giuseppe Bargarella, operaio edile di Trapani, disoccupato da due anni,
si è suicidato un mese fa. Aveva lasciato fra le pagine di una copia
della Costituzione questo biglietto di addio: “L’articolo 1 della
costituzione dice che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro; e
allora perché lo Stato non mi aiuta a trovare lavoro? Perché non mi
toglie da questo stato di disoccupazione? Perché non mi restituisce la
mia dignità? E allora, se non lo fa lo Stato, lo debbo fare io”. Alla
stessa, tragica determinazione sono giunti, qualche giorno fa, gli
anziani coniugi di Civitanova Marche, sopraffatti dalla vergogna per una
condizione di indigenza a cui non riuscivano più ad opporre rimedio.
Soli: così si trovano tutti i lavoratori e le lavoratrici di un’Italia
che trabocca di ricchezza privata, di opulenza e di spreco, avidamente
concentrati nella parte alta della piramide sociale.
Se neppure questi fatti riescono più a scuotere le coscienze
anestetizzate di apparati sindacali imbalsamati e preda di una
irreversibile degenerazione burocratica, vuol dire che è giunto il
momento di ricominciare dalla base e impegnare lì ogni sforzo di
ricostruzione di un sindacalismo di classe, di una linea rivendicativa e
contrattuale, di una propensione alla lotta di cui il mondo del lavoro è
da troppo tempo orbo.
Dino Greco