Svendola

Poi però è accaduto qualcosa: forse il potere gli ha dato alla testa,
forse la coda di paglia dell’ex giovane comunista ha avuto il
sopravvento, o forse quel delirio di onnipotenza che talvolta obnubila
le menti degli onesti l’ha portato a pensare che ogni compromesso al
ribasso gli fosse lecito, perché lui era Nichi Vendola. S’è messo al
fianco, come assessore alla Sanità (il più importante di ogni giunta
regionale) un personaggio in palese e quasi dichiarato conflitto
d’interessi, come Alberto Tedesco. S’è lasciato imporre come
vicepresidente un dalemiano come Alberto Frisullo, poi finito nella
Bicamerale del sesso di Gianpi Tarantini, a mezzadria con Berlusconi. Ha
appaltato al gruppo Marcegaglia l’intero ciclo dei rifiuti, gratificato
da imbarazzanti elogi del Sole 24 Ore quando la signora Emma ne era
l’editore. (…)
Ha stretto un patto col diavolo del San Raffaele, il famigerato e non
compianto don Luigi Verzé, consegnandogli le chiavi di un nuovo
ospedale a Taranto da centinaia di milioni. E si è genuflesso dinanzi al
potere sconfinato della famiglia Riva, chiudendo un occhio o forse
tutti e due sulle stragi dell’Ilva. Il fatto che, come ripete con troppa
enfasi, non abbia mai preso un soldo dai Riva (…), non è un’attenuante,
anzi un’aggravante. Non c’è una sola ragione plausibile che giustifichi
il rapporto di complicità “pappa e ciccia” che emerge dalla telefonata
pubblicata sul sito del Fatto fra lui e lo spicciafaccende-tuttofare dei
Riva: quell’Archinà che tutti sapevano essere un grande corruttore di
politici, giornalisti, funzionari, persino prelati. Un signore che non
si faceva scrupoli di mettere le mani addosso ai pochi giornalisti non
asserviti.
In quella telefonata gratuitamente volgare, fatta dal governatore per
complimentarsi ridacchiando con il faccendiere della bravata contro il
cronista importuno, non c’è nulla di istituzionale: nemmeno nel senso
più deteriore del termine, nel più vieto luogo comune del politico
scafato che deve tener conto dei poteri forti e delle esigenze
occupazionali. C’è solo un rapporto ancillare e servile fra l’ex
rivoluzionario che si è finalmente seduto a tavola e il potente che a
tavola ha sempre seduto e spadroneggia nel vuoto della politica e dei
controlli indipendenti, addomesticati a suon di mazzette.
(…) La telefonata con Archinà è peggio di qualunque avviso di
garanzia, persino di un’eventuale condanna. Perché offende centinaia di
migliaia di elettori che ci avevano creduto, migliaia di vittime
dell’Ilva e i pochi politici che hanno pagato prezzi altissimi per
combattere quel potere malavitoso. Perché cancella quello che di buono
(capirai, in otto anni) è stato fatto in Puglia. Perché diffonde il
qualunquismo del “sono tutti uguali”. Perché smaschera la doppia faccia
di Nichi. Perché chi ha due facce non ce l’ha più, una faccia.
Marco Travaglio, il fatto Quotidiano, 16 novembre 2013
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