mercoledì 20 novembre 2013

Cancellieri: va in scena l'ennesimo capitombolo del Pd

POLITICA

Cancellieri: va in scena l'ennesimo capitombolo del Pd

Letta ha ieri sera aperto l'assemblea dei parlamentari democrat drammatizzando il caso Cancellieri: "Votare la sfiducia al ministro - ha detto - significa fare il gioco del M5S e, soprattutto, sfiduciare, insieme al guardasigilli, l'intero governo". In sostanza, il presidente del Consiglio ha preso in ostaggio gli interi gruppi parlamentari del suo partito, dicendo chiaro e tondo che il tema posto è la continuità dell'esecutivo da lui presieduto. Su quello si vota. "So che la pensiamo diversamente - ha aggiunto Letta - ma vi chiedo un atto di responsabilità come comunità (sic!, ndr) perché l'unità del Pd è l'unico punto di tenuta del sistema politico italiano". Il merito, vale a dire la gravissima compromissione di Annamaria Cancellieri con i Ligresti, le circostanze che hanno via via aggravato la sua posizione, la plateale incompatibilità con il ruolo ricoperto dal ministro, Per Letta non contano assolutamente nulla. Tutti mugugnano, molti recalcitrano, ma alla fine abbozzano. Ora andrà in scena il gioco delle parti, con interventi in aula nei quali i diversi tronconi del Pd lasceranno agli atti della discussione il proprio dissenso o i propri distinguo. Ma poi si adegueranno alla disciplina di partito imposta loro da Letta, mallevadore Giorgio Napolitano. Una follia autolesionista che fa periclitare non soltanto il Pd, ma la democrazia e la moralità pubblica, violentata dalla ragion di Stato ed estranea ad ogni senso di verità e di giustizia.
Nonostante ciò, dal Pd continuano ad arrivare ugualmente le spinte per le dimissioni del ministro. E Paolo Gentiloni fa sapere di aver chiesto direttamente a Letta - assieme a Gianni Cuperlo, Pippo Civati e a Michela Marzano - di adoperarsi nei prossimi giorni affinché la Cancellieri si dimetta da sé. Figuriamoci...Prima dell'avvio dei lavori in aula, comunque, il Guardasigilli ha avuto un colloquio con il premier Letta e con il ministro dei Rapporti con il parlamento, Dario Franceschini. Acqua fresca, ipocritamente agitata, nello stagno doroteo in cui è impantanato il Pd, nel tantativo di qualche pezzo della nomenclatura di salvarsi la coscienza. Intanto Cancellieri, che di dimettersi non ha la minima intenzione,  continuerà a fare il ministro della Giustizia.
Alle 10.30 è iniziata la discussione generale, quindi prenderà la parola il Guardasigilli. Seguiranno le dichiarazioni di voto e infine, intorno alle 15, è previsto il voto della Camera sulla mozione di sfiducia.
D.G.
in data:20/11/2013

lunedì 18 novembre 2013

PUNTI DI VISTA.....di Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano)

Svendola

Ci sono tanti modi per finire una carriera politica. Quello che la sorte ha riservato a Nichi Vendola è uno dei peggiori, proprio perché Nichi Vendola non era tra i politici peggiori. Aveva iniziato bene, con un impegno sincero contro le mafie e l’illegalità. Aveva pagato dei prezzi, ancor più cari di quelli che si pagano di solito mettendosi contro certi poteri, perché faceva politica da gay dichiarato in un paese sostanzialmente omofobo e da uomo di estrema sinistra in una regione sostanzialmente di destra. Ancora nel 2005, quando vinse per la prima volta le primarie del centrosinistra e poi le elezioni regionali in Puglia, attirava vastissimi consensi e altrettanti entusiasmi e speranze. E forse li meritava davvero.
Poi però è accaduto qualcosa: forse il potere gli ha dato alla testa, forse la coda di paglia dell’ex giovane comunista ha avuto il sopravvento, o forse quel delirio di onnipotenza che talvolta obnubila le menti degli onesti l’ha portato a pensare che ogni compromesso al ribasso gli fosse lecito, perché lui era Nichi Vendola. S’è messo al fianco, come assessore alla Sanità (il più importante di ogni giunta regionale) un personaggio in palese e quasi dichiarato conflitto d’interessi, come Alberto Tedesco. S’è lasciato imporre come vicepresidente un dalemiano come Alberto Frisullo, poi finito nella Bicamerale del sesso di Gianpi Tarantini, a mezzadria con Berlusconi. Ha appaltato al gruppo Marcegaglia l’intero ciclo dei rifiuti, gratificato da imbarazzanti elogi del Sole 24 Ore quando la signora Emma ne era l’editore. (…)
Ha stretto un patto col diavolo del San Raffaele, il famigerato e non compianto don Luigi Verzé, consegnandogli le chiavi di un nuovo ospedale a Taranto da centinaia di milioni. E si è genuflesso dinanzi al potere sconfinato della famiglia Riva, chiudendo un occhio o forse tutti e due sulle stragi dell’Ilva. Il fatto che, come ripete con troppa enfasi, non abbia mai preso un soldo dai Riva (…), non è un’attenuante, anzi un’aggravante. Non c’è una sola ragione plausibile che giustifichi il rapporto di complicità “pappa e ciccia” che emerge dalla telefonata pubblicata sul sito del Fatto fra lui e lo spicciafaccende-tuttofare dei Riva: quell’Archinà che tutti sapevano essere un grande corruttore di politici, giornalisti, funzionari, persino prelati. Un signore che non si faceva scrupoli di mettere le mani addosso ai pochi giornalisti non asserviti.
In quella telefonata gratuitamente volgare, fatta dal governatore per complimentarsi ridacchiando con il faccendiere della bravata contro il cronista importuno, non c’è nulla di istituzionale: nemmeno nel senso più deteriore del termine, nel più vieto luogo comune del politico scafato che deve tener conto dei poteri forti e delle esigenze occupazionali. C’è solo un rapporto ancillare e servile fra l’ex rivoluzionario che si è finalmente seduto a tavola e il potente che a tavola ha sempre seduto e spadroneggia nel vuoto della politica e dei controlli indipendenti, addomesticati a suon di mazzette.
(…) La telefonata con Archinà è peggio di qualunque avviso di garanzia, persino di un’eventuale condanna. Perché offende centinaia di migliaia di elettori che ci avevano creduto, migliaia di vittime dell’Ilva e i pochi politici che hanno pagato prezzi altissimi per combattere quel potere malavitoso. Perché cancella quello che di buono (capirai, in otto anni) è stato fatto in Puglia. Perché diffonde il qualunquismo del “sono tutti uguali”. Perché smaschera la doppia faccia di Nichi. Perché chi ha due facce non ce l’ha più, una faccia.
Marco Travaglio, il fatto Quotidiano, 16 novembre 2013
in data:16/11/2013

venerdì 15 novembre 2013

INTERVISTA AL SEGRETARIO PAOLO FERRERO

Il manifesto, intervista a Ferrero: «E ora autonomi quindi credibili»

di Daniela Prezioni – il manifesto – «Il governo Letta è il secondo tempo di Monti. Una controrivoluzione, una Costituente come nel 45, ma stavolta antidemocratica e neoliberista». Paolo Ferrero e il Prc a congresso: non ripeteremo gli stessi errori, fin qui tutti i fallimenti vengono dal rapporto con il centrosinistra. Cambio del segretario? «Decide il congresso»
«Il governo Letta è il secondo tempo della partita. Sul piano economico e sociale le operazioni pesanti le ha fatte Monti: ha usato la paura per sfondare diritti del lavoro, pensioni, welfare. Letta prosegue e fa leva sulla rassicurazione per azioni di sfondamento sul piano costituzionale. La sua parte è demolire la Carta e introdurre il presidenzialismo». Anche il Prc di Paolo Ferrero affronta, come altri a sinistra, un congresso (dal 6 all’8 dicembre a Perugia). Che segna, nelle intenzioni, una svolta.
Cosa intende per ‘azioni di sfondamento sul piano istituzionale’?
Letta sta modificando l’art. 138, e si darà il tempo di cambiare la Carta. La maggioranza troverà la quadra sul presidenzialismo, che chiamerà semipresidenzialismo. Con il bipolarismo hanno demolito la partecipazione, con il presidenzialismo gestiranno in forme plebiscitarie la crisi della politica.
Parte del Pd è contro il presidenzialismo.
Le larghe intese stanno ridisegnando l’Italia sul piano economico-sociale, dalla spending review al fiscal compact al pareggio del bilancio. Sono una Costituente, come quella del ’45. Solo che quella era democratica e progressista, questa è antidemocratica e neoliberista. Se chiudono la partita sulla Carta, il progetto della P2 è realizzato. L’hanno fatto tutti insieme. Del resto è difficile dire se le proposte sociali di Renzi sono a destra o a sinistra di Berlusconi. Penso ai minijob: la distruzione dell’idea che il lavoro abbia dei diritti. Come in Europa, in Grecia, in Germania, la grande coalizione è la forma di governo nella crisi per avere il consenso per fare porcherie che da solo nessuno potrebbe.
Il piano della P2. Come dice Grillo?
Sì, ma io lo dico da prima.
Renzi, Cuperlo e anche Letta giurano che le larghe intese non si ripeteranno più.
Possibile: una volta che avranno sfondato, riprenderanno il teatro nella forma del presidenzialismo. Renzi o Marina Berlusconi: lo scontro sarà anche feroce, ma le differenze sono insignificanti. Sono diversi sui diritti civili, ma pressoché uguali sulle questioni sociali ed economiche. Hanno sfasciato il frutto della lotta partigiana. Una vera controrivoluzione. E il lavoro sarà nella merda.
Si spieghi.
Questo quadro prevede la disoccupazione e la precarizzazione di massa, la riduzione dei salari e la privatizzazione del welfare.
Contro la ‘controrivoluzione’ lei propone una ‘Syriza italiana’. Ci avete già provato con la Federazione della sinistra e Rivoluzione civile. Non ha funzionato. È diversa?
Propongo un polo di sinistra autonomo e alternativo dal centrosinistra. Molte delle forze di Rivoluzione civile si sono trovate fuori dall’alleanza non per loro scelta. E questo ha pesato. I nostri interlocutori oggi sono, per capirci, l’arco di forze e di pratiche che va dal corteo del 12 ottobre, la “Via maestra”, a quello del 19 sul diritto all’abitare. Propongo una testa un voto: nessun percorso con accordi di vertice, come è stata Rivoluzione civile e la Federazione, due fallimenti. Le europee sono l’occasione di una nuova Internazionale sociale. L’Europa è un terreno chiaro: in alternativa ai socialdemocratici e ai popolari c’è la candidatura a presidente della Commissione di Alexis Tsipras (leader della greca Syriza, ndr).
Niente liste Prc anche alle europee?
Il punto è far partire il processo. Come si chiamerà viene dopo.
Proponete di uscire dall’euro?
Nel Prc c’è chi lo propone. Io propongo la disobbedienza ai trattati.
A congresso un pezzo del Prc chiederà di riaprire il dialogo anche con Sel.
È un punto di differenza, anzi è un’altra linea politica. Per noi bisogna costruire la sinistra fuori dal centrosinistra. Loro invece non propongono l’entrata nel centrosinistra, non dico questo, ma antepongono l’unità a sinistra alla sua collocazione. È un errore. Ci abbiamo già provato, è sempre andata male. È successo con la Federazione: il Pdci voleva aggregarsi al Pd, e ci siamo spaccati. Di più: tutte le scissioni del Prc sono avvenute su questo punto. Si può sbagliare, anch’io ho sbagliato: ma non si può ripetere sempre lo stesso errore.
Vuol dire che la prossima Rifondazione sarà definitivamente selezionata fra quelli che dicono no al centrosinistra?
No, voglio dire che se la proposta di questi compagni si realizzasse torneremmo nelle condizioni della Fds: un disastro. Aggiungo che Sel non mi sembra interessata. Ma non dico che non discuteremo mai più con il Pd. Syriza sfida il Pasok, e anch’io se avessi il 20% e il Pd il 10, sfiderei il Pd. Ma ora non vado a fare il suo tappetino.
Il 20% invece in Italia ce l’ha Grillo.
Grillo inizia a mostrare le sue debolezze. Non è interessato ad essere motore dei movimenti. E evidenzia le contraddizioni sulle proposte per uscire dalla crisi, dove mischia ricette di destra e sinistra. Oggi è un parcheggio di voti. Ma resterà al 20 se non ci sarà una sinistra credibile. E alternativa.
Quindi il Pdci è fuori?
No, purché sia chiaro sul rapporto col Pd.
Il Pd è il vostro spartiacque. Messa così non vi precludete il dialogo con quel vasto popolo di sinistra che oggi vota Pd?
La comunicazione con quel popolo avverrà sui contenuti. Il lavoro è il problema del paese, e il nostro piano per un milione di posti – manutenzione dell’ambiente, del patrimonio artistico e tanto altro – non sarà solo una raccolta di firme ma l’occasione di definire una nuova sinistra. Faremo sul lavoro quello che fanno Paolo Di Vetta (dell’Usb, ndr) e gli altri sul tema della casa. Non si lamentano, praticano soluzioni, occupano.
Non teme una Rifondazione minoritaria?
Rifondazione è piccola. Ma le nostre idee sono maggioritarie.
Perché allora avete pochi voti?
Abbiamo un problema di credibilità. Usciamo da una sconfitta e non basta cambiare posizione politiche. Bisogna ripartire.
Qual è l’errore più grave che si addebita?
Il governo con Prodi. Credevamo di poter cambiare l’indirizzo politico. Non a caso i partiti della sinistra europea, tutti in crescita, non hanno avuto esperienze di governo.
È vero anche che nessuno di quei partiti ha sul curriculum la rottura del primo governo di centrosinistra del paese.
La vicenda del ’98 l’avevamo superata nel 2001, con il movimento di Genova. Poi, con la scelta del governo, abbiamo chiuso le possibilità a quel movimento e piallato la nostra credibilità. Ma non è stato un errore solo nostro. Nelle nostre liste c’erano molti dei centri sociali e della sinistra sociale.
Insomma, la fase del ‘bertinottismo’ di governo è stata un errore.
La mia è un’autocritica. Io ho fatto persino il ministro. Ero considerato il rompipalle, ma oggi l’immagine resta quella.
Questo non pone il tema di un ricambio del leader? Il giovane Tsipras ha svecchiato anche l’immagine della sinistra greca.
Invece Mélanchon, leader del francese Front de gauche, è stato ministro di Jospin. Ho messo la faccia nelle scelte buone, come l’elezione di Pisapia, Orlando e De Magistris, e in quelle cattive. Un dirigente comunista, consapevole che si perde fino a che non si vince, deve innanzitutto capire per correggere. Ci sono compagni e compagne che chiedono un ricambio a partire da me. Contrasto la tesi del capro espiatorio, ed è un successo che nonostante tutto non siamo diventati una setta né una dépendence del migliore offerente. Fare il segretario non è il mio primo problema. Vedremo. deciderà il congresso. Proporrò la gestione unitaria del partito. E il referendum fra gli iscritti su ogni questione importante.

Enrico Letta, il coniglio mannaro


Dopo la luce in fondo al tunnel che Monti ci aveva segnalato senza ottenere molto ascolto, Enrico Letta continua giornalmente a spargere segnali di rassicurazione riguardo al futuro del Paese. La migliore degli ultimi giorni è l’affermazione secondo cui la ripresa è a portata di mano, “anche se i segnali ancora non si vedono”. Il punto è che la ripresa non c’è e sono proprio le politiche fatte sotto dettatura della Merkel da Tremonti, Monti e Letta a impedirla. La compressione della domanda interna prodotta attraverso i tagli della spesa pubblica e l’aumento della disoccupazione e della precarietà, ha prodotto in Italia una vera e propria deflazione.
Non a caso i consumi continuano a calare e l’inflazione non è mai stata così bassa. La stessa riduzione dei tassi d’interesse da parte della Bce non produrrà effetti in Italia per due ragioni: i tassi di interesse che applicano le banche sono altissimi e non hanno più alcun rapporto con il tasso di interesse ufficiale deciso dalla Bce. I tassi di interesse reale quindi non scenderanno. In secondo luogo l’origine di fondo della crisi italiana è provocata proprio dalla caduta dei consumi interni e quindi o si risollevano quelli – con una forte redistribuzione del reddito dall’alto in basso e per questo proponiamo la patrimoniale sulle grandi ricchezze – oppure l’economia non riparte.
La seconda considerazione è che se anche nel prossimo anno il Pil dovesse crescere di qualche decimale di punto, questo non interromperebbe per nulla la crescita della disoccupazione, per il semplice motivo che gli aumenti di produttività delle imprese che dentro la crisi si sono ristrutturate, sono maggiori della possibile lieve crescita. In questo contesto parlare di uscita dalla crisi è quindi una evidente menzogna, una bugia di cui Letta è certamente consapevole. La questione da porsi riguarda allora il perché Letta sparga questi messaggi mielosi e rassicuranti? Salta agli occhi la differenza con il governo Monti che invece faceva del terrore – seminato a piene mani nel corso del suo governo – il suo principale codice comunicativo.
La mia opinione è che questa differenza di atteggiamento e di comunicazione non avvenga per un diverso disegno politico di Letta rispetto a Monti, ma perché Letta sta gestendo il secondo tempo della partita cominciata da Monti. Più precisamente, io penso che Monti ha volutamente spaventato il popolo italiano e ha utilizzato il terrore seminato nelle “fila avversarie” al fine di giustificare tagli draconiani al welfare e porcherie enormi come la manomissione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e l’allungamento infinito dell’età per andare in pensione. Monti ha fatto una applicazione da manuale di quella che Naomi Klein chiama “Shock economy”, il cui primo esperimentatore è stato il golpista Augusto Pinochet, il dittatore cileno. Attraverso il terrore e la benedizione dell’Unione Europea, Monti ha fatto passare provvedimenti che altrimenti non sarebbero mai potuti passare.
Oggi Letta ha un altro compito. Non più tagliare brutalmente – il grosso dei tagli è stato fatto da Monti - ma piuttosto di convincere gli italiani che i tagli sono serviti: abbiamo fatto i sacrifici, ma adesso ci sarà la ripresa. Il primo obiettivo è quindi consolatorio e risarcitorio, fatto con la consueta maestria democristiana. Il secondo obiettivo, più di fondo, è che Letta ha due grandi opere da realizzare per terminare l’azione devastatrice di Monti. La prima è la privatizzazione di tutto quanto è rimasto di pubblico in Italia e la seconda è lo scardinamento della Costituzione italiana, trasformando l’Italia da repubblica parlamentare in una repubblica presidenziale. La rassicurazione lettiana è quindi finalizzata a distogliere il paese dalla gravità degli attacchi che il suo governo sta portando alla democrazia costituzionale ed economica.
Da questo punto di vista il quadro diventa chiaro: Monti ha seminato il terrore per scardinare le conquiste sociali e Letta usa la rassicurazione per far tirare un sospiro di sollievo al paese e poter fare in santa pace la distruzione della Costituzione nata dalla resistenza e svendere i gioielli di famiglia tra cui la parte rimanente di apparato industriale pubblico. Monti e Letta, il terrore e la rassicurazione, sono le due facce della stessa medaglia: la distruzione di quanto di buono era stato fatto in Italia dopo la seconda guerra mondiale in termini di democrazia, diritti sociali e del lavoro, presenza pubblica nell’economia. Letta non meno di Monti – così come i partiti che li appoggiano – sono i protagonisti di una vera e propria restaurazione neoliberista, di un peggioramento strutturale delle condizioni di vita del popolo italiano e della svendita dell’Italia ai poteri forti – economici e finanziari – europei e mondiali. Contro questa vera e propria guerra scatenata contro il popolo italiano occorre ribellarsi.
Paolo Ferrero

giovedì 14 novembre 2013

COMUNICATO URGENTE: CONGRESSI CIRCOLO

RICORDIAMO CHE QUESTA SERA ALLE ORE 20.30 AVRA' LUOGO A CASTRO PRESSO IL CIRCOLO IL CONGRESSO DEL PARTITO PER I COMPAGNI DELL'ALTO SEBINO E VAL DI SCALVE. 
DOMANI INVECE ALLE ORE 15.00 SARA' TENUTO PRESSO LA BIBLIOTECA DI MALEGNO IL CONGRESSO PER I COMPAGNI DELLA VALLECAMONICA!
VISTA LA DELICATEZZA DEL MOMENTO E AL FINE DI APRIRE UNA SERIA DISCUSSIONE SUL NOSTRO FUTURO E DI TUTTA LA SINISTRA DI ALTERNATIVA, CHIEDIAMO A TUTTI GLI ISCRITTI E ANCHE A COLORO CHE NON LO SONO MA CHE NEI VALORI DELLA SINISTRA ITALIANA SI RICONOSCONO DI PARTECIPARE!!!
SIAMO APERTI AL DIBATTITO!!!

domenica 3 novembre 2013

ATTIVO E CONGRESSO DEI CIRCOLI VALLECAMONICA , ALTO SEBINO E VALLE DI SCALVE

In vista del prossimo e ormai imminente Congresso Nazionale i Circoli della Vallecamonica, Alto Sebino  e Valle di Scalve hanno programmato un percorso comune di preparazione.
Il prossimo Venerdi 8 Novembre alle ore 20,30 presso la sede di Castro è stato indetto l'Attivo dei circoli al fine di favorire la divulgazione delle tesi congressuali con i relativi documenti, emendamenti e regolamenti! Per coloro che ancora non avessero aderito sarà possibile inoltre sottoscrivere le tessere per l'anno 2013!
Dopo questa prima fase di approfondimento sono stati previsti (divisi per provincie) i due Congressi territoriali:

VENERDI 15 NOVEMBRE alle ore 20,30 presso la sede di Castro il congresso dei compagni della provincia di bergamo;

SABATO 16 NOVEMBRE alle ore 16,00 presso la sala della biblioteca comunale di Malegno il congresso dei compagni della provincia di brescia;

Ovviamente vista l'importanza del Congresso confidiamo in una massiccia partecipazione di tutti i compagni ed estendiamo l'invito a quanti pur non essendo tesserati vogliano condividere un momento di approfondimento e di discussione politica.





lunedì 7 ottobre 2013

INIZIATIVA IMPORTANTE


 COSTITUZIONE
LA VIA MAESTRA
MANIFESTAZIONE NAZIONALE

12 OTTOBRE ROMA




 

MERCOLEDI’ 9  OTTOBRE 2013

ORE 20.15

AUDITORIUM VILLA MILESI, LOVERE

DIBATTITO CON:

-         Barbara Pezzini (costituzionalista e docente università di Bergamo)

 

 

Il 12 ottobre l'appuntamento è a Roma in Piazza della Repubblica alle ore 14.00
per una grande manifestazione nazionale per difendere la Costituzione e rivendicarne l'applicazione. Per prenotazioni chiamare la Fiom di Brescia al n.  030  3729270.

 

 

 

 


Fiom Cgil Vallecamonica Sebino – Libera di Vallecamonica


Comitato per la difesa della Costituzione


 

L'appello: “la via maestra”


1. Di fronte alle miserie, alle ambizioni personali e alle rivalità di gruppi spacciate per affari di Stato, invitiamo i cittadini a non farsi distrarre. Li invitiamo a interrogarsi sui grandi problemi della nostra società e a riscoprire la politica e la sua bussola: la Costituzione. La dignità delle persone, la giustizia sociale e la solidarietà verso i deboli e gli emarginati, la legalità e l’abolizione dei privilegi, l’equità nella distribuzione dei pesi e dei sacrifici imposti dalla crisi economica, la speranza di libertà, lavoro e cultura per le giovani generazioni, la giustizia e la democrazia in Europa, la pace: questo sta nella Costituzione. La difesa della Costituzione non è uno stanco richiamo a un testo scritto tanti anni fa. Non è un assurdo atteggiamento conservatore, superato dai tempi. Non abbiamo forse, oggi più che mai, nella vita d’ogni giorno di tante persone, bisogno di dignità, legalità, giustizia, libertà? Non abbiamo bisogno di politica orientata alla Costituzione? Non abbiamo bisogno d’una profonda rigenerazione bonificante nel nome dei principi e della partecipazione democratica ch’essa sancisce? 

Invece, si è fatta strada, non per caso e non innocentemente, l’idea che questa Costituzione sia superata; che essa impedisca l’ammodernamento del nostro Paese; che i diritti individuali e collettivi siano un freno allo sviluppo economico; che la solidarietà sia parola vuota; che i drammi e la disperazione di individui e famiglie siano un prezzo inevitabile da pagare; che la partecipazione politica e il Parlamento siano ostacoli; che il governo debba essere solo efficienza della politica economica al servizio degli investitori; che la vera costituzione sia, dunque, un’altra: sia il Diktat dei mercati al quale tutto il resto deve subordinarsi. In una parola: s’è fatta strada l’idea che la democrazia abbia fatto il suo tempo e che si sia ormai in un tempo post-democratico: il tempo della sostituzione del governo della “tecnica” economico-finanziaria al governo della “politica” democratica. Così, si spiegano le “ineludibili riforme” – come sono state definite –, ineludibili per passare da una costituzione all’altra. La difesa della Costituzione è dunque innanzitutto la promozione di un’idea di società, divergente da quella di coloro che hanno operato finora tacitamente per svuotarla e, ora, operano per manometterla formalmente. È un impegno, al tempo stesso, culturale e politico che richiede sia messa in chiaro la natura della posta in gioco e che si riuniscano quante più forze è possibile raggiungere e mobilitare. Non è la difesa d’un passato che non può ritornare, ma un programma per un futuro da costruire in Italia e in Europa. 

2. Eppure, per quanto si sia fatto per espungerla dal discorso politico ufficiale, nel quale la si evocava solo per la volontà di cambiarla, la Costituzione in questi anni è stata ben viva. Oggi, ci accorgiamo dell’attualità di quell’articolo 1 della Costituzione che pone il lavoro alla base, a fondamento della democrazia: un articolo a lungo svalutato o sbeffeggiato come espressione di vuota ideologia. Oggi, riscopriamo il valore dell’uguaglianza, come esigenza di giustizia e forza di coesione sociale, secondo la proclamazione dell’art. 3 della Costituzione: un articolo a lungo considerato un’anticaglia e sostituito dall’elogio della disuguaglianza e dell’illimitata competizione nella scala sociale. Oggi, la dignità della persona e l’inviolabilità dei suoi diritti fondamentali, proclamate dall’art. 2 della Costituzione, rappresentano la difesa contro la mercificazione della vita degli esseri umani, secondo le “naturali” leggi del mercato. Oggi, il dovere tributario e l’equità fiscale, secondo il criterio della progressività alla partecipazione alle spese pubbliche, proclamato dall’art. 53 della Costituzione, si dimostra essere un caposaldo essenziale d’ogni possibile legame di cittadinanza, dopo tanti anni di tolleranza, se non addirittura di giustificazione ed elogio, dell’evasione fiscale. Ecco, con qualche esempio, che cosa è l’idea di società giusta che la Costituzione ci indica.
Negli ultimi anni, la difesa di diritti essenziali, come quelli alla gestione dei beni comuni, alla garanzia dei diritti sindacali, alla protezione della maternità, all’autodeterminazione delle persone nei momenti critici dell’esistenza, è avvenuta in nome della Costituzione, più nelle aule dei tribunali che in quelle parlamentari; più nelle mobilitazioni popolari che nelle iniziative legislative e di governo. Anzi, possiamo costatare che la Costituzione, quanto più la si è ignorata in alto, tanto più è divenuta punto di riferimento di tante persone, movimenti, associazioni nella società civile. Tra i più giovani, i discorsi di politica suonano sempre più freddi; i discorsi di Costituzione, sempre più caldi, come bene sanno coloro che frequentano le aule scolastiche. Nel nome della Costituzione, ci si accorge che è possibile parlare e intendersi politicamente in un senso più ampio, più elevato e lungimirante di quanto non si faccia abitualmente nel linguaggio della politica d’ogni giorno. 

In breve: mentre lo spazio pubblico ufficiale si perdeva in un gioco di potere sempre più insensato e si svuotava di senso costituzionale, ad esso è venuto affiancandosi uno spazio pubblico informale più largo, occupato da forze spontanee. Strade e piazze hanno offerto straordinarie opportunità d’incontro e di riconoscimento reciproco. Devono continuare ad esserlo, perché lì la novità politica ha assunto forza e capacità di comunicazione; lì si sono superati, per qualche momento, l’isolamento e la solitudine; lì si è immaginata una società diversa. Lì, la parola della Costituzione è risuonata del tutto naturalmente.
3. C’è dunque una grande forza politica e civile, latente nella nostra società. La sua caratteristica è stata, finora la sua dispersione in tanti rivoli e momenti che non ha consentito di farsi valere come avrebbe potuto, sulle politiche ufficiali. Si pone oggi con urgenza, tanto maggiore quanto più procede il tentativo di cambiare la Costituzione in senso meramente efficientistico-aziendalistico (il presidenzialismo è la punta dell’iceberg!), l’esigenza di raccogliere, coordinare e potenziare il bisogno e la volontà di Costituzione che sono diffusi, consapevolmente e, spesso, inconsapevolmente, nel nostro Paese, alle prese con la crisi politica ed economica e con la devastazione sociale che ne consegue. 

Anche noi abbiamo le nostre “ineludibili riforme”. Ma, sono quelle che servono per attuare la Costituzione, non per cambiarla. 

Lorenza Carlassare - Don Luigi Ciotti - Maurizio Landini - Stefano Rodotà - Gustavo Zagrebelsky