Grillo, i "forconi" e la lotta di classe che non c'è
E' la rivolta, o forse l'insurrezione, quella che evoca
il guru del M5S, quando si rivolge, con una lettera aperta pubblicata
sul suo blog, a Leonardo Gallitelli, comandante generale dell'Arma dei
Carabinieri, ad Alessandro Pansa, capo della Polizia di Stato e a
Claudio Graziano, Capo di stato maggiore dell'Esercito italiano. Lui,
Grillo, vorrebbe che dalla Polizia fino all'Esercito, passando per i
Carabinieri, tutte le Armi del paese si unissero alla singolare rivolta
accesa dai "forconi", che a Torino per ore hanno fatto quello che
volevano in una città dove lo Stato, inteso come "forze dell'ordine", si
era semplicemente ritirato, mentre la grandissima parte dei negozi
aveva abbassato le serrande. Una solidarietà che Grillo, tuttavia, si
era ben guardato da invocare quando mille volte, in questi anni segnati
dalla crisi e dalle politiche di austerity, lavoratori, operai, precari,
studenti hanno attraversato con i loro cortei le strade e le piazze del
paese, in ogni dove, incontrando anch'essi le forze dell'ordine,
solerti, in questi casi, nel somministrare ai manifestanti massicce dosi
di manganellate. Non una volta che i poliziotti, men che meno gli
uomini della "Benemerita", si siano tolti il casco di fronte agli operai
che si battono contro i licenziamenti, che presidiano aziende di
padroni in fuga, o che abbiano una sola volta tentennato quando si è
trattato di cacciare i nomadi dalle loro povere catapecchie, o che un
fremito della coscienza abbia loro impedito di dare esecuzione ad uno
sfratto nei confronti di famiglie in condizioni disperate da case delle
quali sia stato ordinato lo sgombero. Il generoso cuore di Grillo non ha
mai palpitato di fronte a quelle repressioni violente compiute in
difesa della borghesia proprietaria. Non fa niente se imbelle e
fraudolenta. Ora che nella protesta si mischia di tutto, ora che le
pulsioni più diverse dominano un moto che assume i tratti della
jacquerie, ecco che l'egoarca prova a mettercisi a capo. Per suonare una
volta ancora la grancassa e mietere qualche facile consenso. Come
sempre, nella debordante oratoria demagogica di tutti i populisti, le
ragioni profonde di un'acuta sofferenza sociale si mischiano
all'invettiva rivolta verso un'indifferenziata casta, verso la politica
incapace di tutto. "I disordini - scrive Grillo - sono dovuti a gente
esasperata per le sue condizioni di vita e per l'arroganza, sordità,
menefreghismo di una classe politica che non rinuncia ai privilegi". Ma
quella classe politica è espressione di classi sociali dominanti a cui
Grillo evita di imputare alcunché. Per rivolgersi, con parole
inquietanti, alle gerarchie militari del Paese, come se le loro
inclinazioni fossero, in Italia, quelle della "rivoluzione dei garofani"
dei militari portoghesi che nell'aprile del 1974 portò alla caduta dele
regime fascista di Salazar. Come se la democrazia ingessata e corrotta
della Seconda repubblica potesse vivere un bagno rigeneratore grazie
all'entrata in campo delle forze armate italiane. Roba che mette i
brividi solo a pensarci. Ma anche quest'ultima sparata di Grillo
ripropone il vero tema di questa terribile stagione politica: l'assenza
di una guida sociale delle lotte (il sindacato) e la latitanza di un
soggetto politico (il partito) che sappia assumerne la rappresentanza
politica, scansando il rischio di una torsione reazionaria e di una
rottura democratica dagli esiti devastanti. E' l'assenza della lotta di
classe che fa di sommosse come quelle che sempre più spesso scuotono il
paese il ricettacolo, il brodo di coltura di spinte qualunquistiche su
cui la destra estrema può costruire le proprie fortune e, persino,
alimentare le proprie mai sopite tentazioni golpiste.
Dino Greco
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