giovedì 30 gennaio 2014

L'EDITORIALE DI DINO GRECO

La fuga della Fiat: paradigma di un'Italia in ginocchio

Fine della storia. La Fiat (Fabbrica Italiana Automobili Torino) è defunta e - come capisce chiunque non voglia ingannare se stesso o il prossimo - non soltanto nell'acronimo. Fiat Chrysler Automobiles (Fca) il nuovo gruppo sortito dall'unione della casa torinese e di quella di Detroit ha in Italia solo una modesta dependance produttiva, aree di grande cubatura che ospitano stabilimenti in gran parte dismessi, migliaia di operai in cassa integrazione, nessun serio progetto per il futuro.  Il board strategico è già migrato a Detroit, insieme al know how nostrano, preziosa merce di scambio spesa per entrare in Chrysler senza che la Famiglia dovesse scucire un soldo bucato. Per la sede legale è stata scelta Amsterdam, al fine di sfruttare il maggior peso concesso nel voto in assemblea ai soci che abbiano la maggiore quota di una società. Così, con meno del 30 per cento della nuova Fiat, gli Agnelli potranno controllare la società, cosa che con le leggi italiane sull'Opa non sarebbe possibile. La sede fiscale verrà invece "opportunamente" allocata a Londra, operazione che si spiega con i vantaggi che il sitema inglese accorda a chi matura dividendi all'estero. L'azienda ha provato a dissipare questa ulteriore ombra su un gruppo industriale che ha totalmente perso le proprie radici nazionali e che dopo avere succhiato sino all'osso risorse materiali ed umane dall'Italia ora trova la scappatoia per evadere anche le tasse dovute. “Questa scelta non avrà effetti sull’imposizione fiscale cui continueranno ad essere soggette le società del gruppo nei vari Paesi in cui svolgeranno le loro attività”, ha provato a controbattere il Lingotto, ma non la pensano così neanche i fiscalisti britannici.
Infine, scelta del tutto scontata, la quotazione in borsa sarà sulla piazza newyorkese, a Wall Street, forse già dal 1° ottobre. A  Milano rimarrà la quotazione secondaria del gruppo. E' sul mercato americano che Fca andrà a drenare capitali. Ed è lì che restituirà qualcosa, avendo di fronte un governo che forse non si limiterà a fare da zerbino.
E' chiaro come il sole che le produzioni e l'occupazione in Italia rappresentano per il nuovo player internazionale l'ultima delle preoccupazioni. Lo hanno perfettamente compreso anche gli osservatori internazionali. ”Arrivederci Italia!”, titola il quotidiano economico tedesco Handelsblatt. Il giornale racconta che in Italia “è scoppiato il panico per il timore che parte di Fiat possa essere trasferita all’estero”, anche se “il passaggio è in corso già da tempo: dal 1990 il numero delle vetture prodotte in Italia è crollato da 1,9 milioni ad appena 400mila nel 2012″.
Sfidando il ridicolo, Enrico Letta, e lui solo, si rallegra. Va raccontando che un gruppo a "vocazione globale" come Fca potrà fare gli investimenti necessari a garantire il lavoro anche in Italia. E finge di non accorgersi che il piatto è vuoto. Come il il più genuflesso dei servi, prende ceffoni e ringrazia.
Dino Greco

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