Il comunicato di Paolo Ferrero
di Paolo Ferrero
LIBERAZIONE
Il comunicato del direttore
Care lettrici, cari lettori,
ho sperato fino all'ultimo di non dover scrivere queste righe. L'ho
sperato perché ritenevo (e ritengo) che un partito comunista, che tra i
suoi compiti ha quello della formazione di una coscienza di classe, non
possa fare a meno di uno strumento di comunicazione/informazione non
solo come veicolo per la diffusione di idee e programmi, ma anche come
mezzo per lo sviluppo della stessa attività politica. Ora che la parola
fine è stata messa nero su bianco, sembra che non resti altro da fare
che prenderne atto.
Si poteva evitare questo epilogo? Forse no. Ci si poteva arrivare in un
altro modo? Certamente sì. Conosciamo, e non da oggi, la straordinaria e
drammatica condizione economica in cui si dibatte il nostro partito e,
di conseguenza, la società editrice di Liberazione. E conosciamo le
importanti risorse finanziarie che il Prc ha impiegato negli anni
passati per salvare il giornale, ridurre i debiti e non far fallire la
Mrc, pur in una condizione generale di crisi.
Conosciamo tutto questo talmente bene che non ci siamo mai tirati
indietro quando si è trattato di fare sforzi, personali e collettivi,
per tenere in vita il giornale che, vale forse la pena ricordarlo,
accompagna la storia del Prc da oltre vent'anni. Con caparbietà abbiamo
messo in campo tutte le iniziative possibili, specie dopo la fine delle
pubblicazioni del giornale cartaceo (ormai nel lontano dicembre 2011)
sempre e solo con l'intento di essere utili prima di tutto al partito,
pur nella dimensione sempre più ridotta in termini di risorse umane e
finanziarie. Uno sforzo che il più delle volte è sembrato cadere nel
vuoto e nel disinteresse, non tanto del corpo militante del partito,
quanto dei suoi dirigenti. Eppure non ci siamo scoraggiati: prima con un
sito web "clandestino" (il settimanale Ombrerosse, ospitato su
Controlacrisi), poi con Liberazione.it, sempre rispettando lealmente le
decisioni assunte dal Prc.
Una cosa sola chiedevamo in cambio: l'impegno del partito a non
disperdere questo lavoro e a dare una prospettiva politica a questo
sforzo. Questo impegno, oggettivamente, non c'è stato. Non solo in
termini di abbonamenti (che pure erano di vitale importanza, come si
vede), ma soprattutto di costruzione di un percorso che permettesse di
non arrivare alla morte più o meno annunciata di Liberazione circondati
dal vuoto assoluto: vuoto di proposte; vuoto di progetti; vuoto di
programmazione. Che idea ha il partito della propria comunicazione? Di
che strumenti ha bisogno? Di un sito? Di due? Di tre? Di nessuno?
L'attuale proliferare di pagine web è fonte di ricchezza o di
confusione? Serve un house organ oppure no? E in che forme? Gratuito? A
pagamento? Basta una rassegna stampa? Si noti che di tempo ce n'è stato
per affrontare questi temi, ma ogni volta c'era qualcosa di più urgente.
Fino ad arrivare all'inesorabile.
Nessuno di noi ha mai pensato, nelle condizioni date, di riproporre "una
vecchia" Liberazione, se non altro perché le forme stesse della
comunicazione sono radicalmente cambiate da quando, nel 1996,
Liberazione settimanale divenne quotidiano, nell'entusiasmo generale.
Non è questo il punto. Sul tavolo esiste un ampio ventaglio di proposte e
altre ancora se ne possono avanzare. Così come non è in discussione la
gravità della situazione finanziaria. Si chiedeva (e si chiede) di
manifestare una volontà; di mostrare coerenza tra le cose che si dicono e
quelle che si fanno. Insomma, di mettere in campo un percorso che ci
permettesse di guardare avanti, di superare la difficilissima fase in
cui ci troviamo, come giornale e come partito, creando le basi per un
rilancio organizzativo di tutto il comparto della nostra comunicazione
politica.
Invece, arriviamo ad un traguardo oltre il quale non c'è nulla, tranne
la chiara volontà di chiudere Liberazione per salvare il partito. Come
se le due cose non stessero insieme. Come se, al contrario, la chiusura
della testata storica del partito non rischi di essere un colpo mortale
al partito stesso, per di più alla vigilia di un passaggio cruciale come
quello delle elezioni europee. C'è stata, a nostro avviso, una
sottovalutazione grave della dimensione politica della questione,
lasciando che la discussione vertesse solo sulla dimensione economica.
Che, infatti, lascia completamente aperto l'interrogativo sul "che fare
ora", cui può dare una risposta solo un chiaro progetto politico.
Ai lettori, agli abbonati va il nostro ringraziamento: ci hanno
sostenuto, gratificato, criticato, sollecitato. E le nostre scuse per
non sapere "cosa dire", per non sapere indicare se e quando saremo mai
in grado di tornare ad essere la voce del Partito della Rifondazione
comunista; la voce dei comunisti.
di Romina Velchi
di Romina Velchi
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