La crisi delle strane coppie
Pubblicato il 25 mar 2014
di Dino Greco
Già prima delle ultime elezioni politiche, di fronte alle
contestazioni sulla passività della CGIL da quando si era insediato il
governo Monti, Susanna Camusso aveva risposto che il sindacato da solo
non avrebbe potuto farcela. Per questo era indispensabile una sponda
politica, che tutto il gruppo dirigente del maggiore sindacato italiano
identificava nella vittoria di Bersani. Si sa come è andata.
Allontanatasi la sponda politica, per non essere travolta dalla piena
del torrente della crisi, la CGIL ha cercato di aggrapparsi a CISL UIL e
Confindustria. La dottrina delle “parti sociali” che nasce nella CISL e
nel mondo democristiano, è stata immediatamente adottata. Si sono
sottoscritti appelli sul fisco assieme alle associazioni delle imprese,
appelli che cancellavano la diversità degli interessi sociali sul tema
centrale della riduzione delle tasse. Si è pronunciata quasi
simultaneamente alle imprese la sfiducia verso il nullismo del governo
Letta. E soprattutto si è sottoscritto l’accordo del 10 gennaio sulla
rappresentanza, un patto corporativo dove le principali organizzazioni
dei lavoratori e delle imprese decidono di escludere dal sistema
contrattuale chi non é d’accordo con loro.
Ora è proprio il ruolo delle parti sociali che viene aggredito dal
governo e quando Susanna Camusso, per difendersi dagli attacchi di
Renzi, deve dichiarare che non è vero che sia d’accordo con Squinzi,
ammette un doppio fallimento, quello della ricerca della sponda politica
e quello del ruolo lobbistico delle “parti sociali”.
Il governo Renzi é il tentativo forse estremo da parte di banche
finanza e poteri forti,italiani ed europei, di continuare e persino
radicalizzare la politica di austerità con un pò di consenso in più. Per
questo fa proprio il populismo liberista, sperando così di trovare quel
sostegno nell’opinione pubblica che Monti e Letta hanno rapidamente
perduto.
Così si annuncia la lotta alla precarietà del lavoro, ma poi la si
estende con i provvedimenti concreti. Si promettono soldi in busta paga,
ma si lasciano a secco pensionati e disoccupati, per questi ultimi ci
sarà il lavoro se il sindacato non si oppone. E infine si annunciano
privatizzazioni e tagli di lavoro pubblico. Insomma il programma di
Renzi è una combinazione tra i diktat della Troika e le rivendicazioni
dei Tea party, il movimento populista di destra estrema negli Usa.
L’ attacco alla casta sindacale è parte integrante di questa
operazione consenso verso politiche economiche liberiste, ed è possibile
anche perché la CGIL in questi anni ha perso enormemente in
credibilità. Il suo gruppo dirigente, quando ha rinunciato a lottare
contro la riforma Fornero delle pensioni e la manomissione
dell’articolo18, ha segato la pianta che lo sosteneva. E Renzi ora
attacca da destra.
Il congresso avrebbe potuto essere una occasione di vera riflessione
sulla crisi della CGIL, invece è stato un percorso di autotutela
burocratica, sanzionato da un 97% a favore della lista Camusso che non
solo è politicamente ridicolo e numericamente falso, ma è soprattutto la
fotografia di una organizzazione che si dice bugie su sé stessa.
L’attacco di Renzi non solo mette in crisi la strana coppia Camusso
Squinzi, ma anche quella della rottamazione tra il Presidente del
consiglio e Landini. Il modello sindacale del governo, esaltato dal
ministro Poletti ex capo di quelle coop licenziatrici di migranti, è
quello di Marchionne. Gli operai di Melfi che ballano sulle musichette
del terribile spot della Fiat, potrebbero fare la stessa danza per la
campagna elettorale del presidente del consiglio. Il modello e la
cultura sono le stesse.
È difficile dunque che rimanga in piedi il fronte degli innovatori
contro quello dei conservatori, visto che Landini è stato conosciuto dal
grande pubblico proprio per il suo scontro con Marchionne.
Le strane coppie sono quindi destinate alla implosione, ma non basta
questo per far si che il sindacato riesca a trovare una via credibile di
ricostruzione del proprio ruolo.
Perché questo avvenga ci vogliono atti costituenti che richiedono rotture di linea politica e di pratiche abitudinarie.
Si deve rompere con l’Europa delle banche e del fiscal compact, e
costruire un’azione sindacale di contrasto continuo e diffuso alle
politiche di austerità.
Si deve rompere con il sindacalismo burocratico e ricostruire la grande funzione del sindacato come organizzatore sociale.
Si deve rompere con i palazzi e dunque oggi con il collateralismo con il partito democratico.
Una CGIL che praticasse queste tre rotture nella sua azione
quotidiana diventerebbe un eccezionale punto di riferimento per chi oggi
paga tutti costi della crisi.
Ma i gruppi dirigenti e gli apparati del più grande sindacato
italiano hanno paura dei costi politici e organizzativi di questa
scelta, preferiscono la sponda dell’autoconservazione anche con gli
insulti di Renzi, piuttosto che rischiare il mare aperto. E così
affondano.
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